Anche la Bce lo ammette: l'introduzione dell'euro ha impoverito gli italiani

Lo studio della Bce: "I risultati peggiori della moneta unica sono stati in Italia, che nel '99 era ricca"

Anche la Bce lo ammette: l'introduzione dell'euro ha impoverito gli italiani

Roma - Forse involontariamente (anzi, senz'altro) la Banca centrale europea getta benzina sull'anti-europeismo strisciante. Indirettamente, Francoforte riconosce che l'introduzione della moneta unica ha ridotto il pil procapite degli italiani.

«La convergenza reale fra le economie dell'area dell'euro dopo l'introduzione della moneta unica è stata scarsa - riconosce la Bce - nonostante le aspettative iniziali di un'accelerazione del processo catalizzata dall'euro». In questo quadro, «l'Italia, inizialmente un paese a più alto reddito, ha registrato i risultati peggiori e questo suggerisce una divergenza sostanziale rispetto al gruppo con redditi elevati». Traduzione: nel 1999 registravamo un pil pro-capite da benestanti ; oggi, siamo all'ultimo posto di Eurolandia.

Nel suo equilibrismo lessicale, la Bce non accusa nessun governo che si è alternato nei 15 anni presi in esame. Guarda caso, nel periodo sono stati al governo coalizioni di centrodestra e di centrosinistra con tempi identici. Molto probabilmente non c'era bisogno della dotta analisi della banca centrale per far capire agli italiani come abbiano ridotto la propria propensione al consumo o agli investimenti. È l'Europa dell'austerity. Che Francoforte traduce con «i deludenti» progressi di convergenza dei pil pro-capite nazionali verso target comuni.

Insomma, a ben vedere l'adesione alla Moneta unica ha innescato in Italia i risultati peggiori di tutta Eurolandia. A causa delle politiche di bilancio restrittive, determinate - oltre che dai livelli di convergenza - dall'alto livello del debito nazionale.

Va ricordato che l'Italia, nemmeno ai tempi di Maastricht, aveva i requisiti per partecipare al progetto della Moneta unica. Raggiunti, con qualche sforzo, gli obbiettivi di inflazione e tassi d'interesse e conquistato con qualche artificio contabile l'obbiettivo di deficit, l'Italia non rispettava quello del debito (dovrebbe essere, secondo quel Trattato, pari al 60% del pil).

Ma venne ammessa grazie alla famosa clausola negoziata da Guido Carli. Vale a dire, l'Italia si impegnò ridurre annualmente il livello di debito. Cosa che realmente avvenne grazie alle privatizzazioni, a parte qualche piccola divergenza di rotta, fino alla crisi del 2007.

D'altra parte, nessuno in Europa voleva far restare l'Italia fuori dalla Moneta unica. Le svalutazioni della lira mettevano le ali al Pil ed alla competitività delle nostre imprese. Così, l'Italia venne accolta perchè era troppo pericoloso (per gli altri) lasciarla fuori. E non è un caso che la Bce oggi segnali come la competitività nazionale chiuda le statistiche europeo (e anche quelle dell'Ocse). Il sistema produttivo non si è adeguato - salvo casi rari e fortunati - alla Moneta unica. Così, il livello di competitività è rimasto adagiato al modello che esisteva prima dell'euro. Con evidente perdita di posizione rispetto al livello di convergenza europeo.

A livello continentale, la

ripresa avverte gli effetti benefici del «Quantitative easing» avviato dalla Bce. Ma questi timidi segnali di crescita non si trasmettono sull'occupazione. Forse per queste ragioni, Renzi vuole cambiare verso all'Europa.

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