Il cubo di cemento che sfigura Venezia

La città appare umiliata per assenza di rispetto e di tutela. È l'osceno frutto dello stesso schema di subordinare il potere di controllo delle Sovrintendenze ai poteri locali

Il cubo di cemento che sfigura Venezia

Mentre l'Egitto raddoppia il canale di Suez che fu progettato da un ingegnere italiano, Luigi Negrelli, l'Italia mostra al mondo lo sfregio più grave del nuovo millennio e tra i primi cinque della seconda metà del secolo scorso, il momento più tragico della distruzione del paesaggio italiano e solo per la costruzione di innominabili mostri. Si contendono la palma, relativamente all'importanza dei luoghi, il Palazzo di Giustizia di Firenze, sconvolgente invenzione di una mente perversa; la teca dell'Ara Pacis di Richard Meyer; il «Ferro di Cavallo» a Perugia; la Cassa di Risparmio di Venezia; il Polo Universitario di Chieti. Ne ho ricordato alcuni. E appaiono più gravi quelli che sconvolgono il volto urbano dei luoghi di più universale e riconosciuta bellezza, come Venezia. La città è stata, negli ultimi decenni, più volte umiliata da edifici di ambiziose quanto modeste personalità dell'architettura, dietro lo scudo di un grande architetto come Carlo Scarpa, del quale, postumo e sgraziato, fu realizzato l'orrendo progetto di alto significato simbolico del portale d'entrata della Facoltà di architettura: un orrido manufatto di cemento armato a ridosso del pronao della nobilissima chiesa dei Tolentini.

Con l'alibi del grande architetto, che fece il suo capolavoro di decorazione e discrezione nel negozio Olivetti in Piazza San Marco, decine di incapaci hanno disegnato volumi senza forma e senza intelligenza. E anche a Venezia molta di questa edilizia «universitaria» ha lasciato tracce sgraziate. Sulle Zattere ha tentato un neo gotico razionalista Ignazio Gardella, umiliato dalla fronteggiante «Casa dei tre Oci» di Mario de Maria alla Giudecca. Ma ferite memorabili sono state essenzialmente due: il nuovo Bauer al fianco della Chiesa di San Moisè, concepito in un momento di grave dissenteria da un progettista innominabile, e la gabbia ispirata al Lego della Cassa di Risparmio, di Scattolin.

Interventi esecrati e, ormai da mezzo secolo, indicati come errori e orrori. Ma si è riusciti a fare peggio. E se non bastava l'inutile e pretenzioso Ponte di Calatrava, destinato all'area più recente di Venezia, stabilizzata durante il Fascismo, quella del ponte che sfocia in Piazzale Roma, con i parallelepipedi dei garage comunali, si è pensato di peggiorare la situazione con tre inverecondi cubi per allargare gli spazi di un graziosissimo albergo: l'Hotel Santa Chiara. È proprio da quel luogo, dove ho soggiornato in innumerevoli occasioni, per la sua anfibia versatilità (avere una facciata sulla terraferma, con un comodo parcheggio, e l'altra, di gentili forme ottocentesche, sul Canal Grande, in prossimità del pontile per i motoscafi e i vaporetti), che si può dimostrare l'assoluta inutilità del Ponte di Calatrava.

Infatti, attraversato il portego del palazzo che collega la terraferma al Canal Grande, ci si rende conto che, percorrendo le Fondamenta di San Simeon Piccolo, attraversando il Ponte degli Scalzi, si arriva alla stazione Santa Lucia 40 secondi prima che facendo il percorso parallelo sul Ponte di Calatrava. Nessuna utilità e nessuna funzionalità che giustifichi la costruzione di un ponte per risparmiare i tempi da un punto all'altro della città.

Oggi con sadismo s'insiste, depauperando e umiliando la parte più umiliata della città: Piazzale Roma. Per ragioni misteriose e con l'incredibile legittimazione del «Comitato di salvaguardia», istituzione con la quale si è spesso tentato di mortificare e limitare l'autorità delle Sovrintendenze, si è approvato il progetto presentato dal proprietario dell'Hotel Santa Chiara il quale, avendo ottenuto un prevedibile gradimento per la sua struttura di accoglienza, ha mostrato l'esigenza di ampliarla. Forse il contiguo ponte di Calatrava, forse la convinzione di agire su un'area molle, al limitare della mirabile città d'acqua, ha indotto il Comitato a concedere l'autorizzazione con alcune prescrizioni come la geometrica razionalistica delle facciate, quasi a evocare una impossibile neutralità. Basta vedere i risultati. E, invero, ispirandosi a un'architettura razionalistica, di concezione novecentesca nello stile degli anni '30 o '40, si è espressa una rielaborazione degli stilemi del passato. Perché, allora, non valutare l'opportunità di raddoppiare l'edificio nello stile dell'architettura ottocentesca, semplice e aggraziata, dell'edificio preesistente? La mitologia dell'architettura moderna ha guidato la scelta, realizzando una catastrofe: chi arriva oggi da Piazzale Roma ha la veduta del Canal Grande occlusa da questo vistoso tappo di pietra bianca, goffo e inespressivo, di vaga, benché modestissima, ispirazione fascista.

Il mondo guarderà Venezia e l'Italia con lo sdegno che già i giornali stranieri hanno manifestato nei confronti del degrado di Roma. Qui è peggio. Venezia appare umiliata per assenza di rispetto e di tutela. È l'osceno frutto dello stesso schema, purtroppo già adottato a Venezia, di subordinare il potere di controllo delle Sovrintendenze ai poteri locali, alle richieste di utilità dei comuni. Il potere delle Sovrintendenze è l'espressione diretta dello Stato che si difende, e non può mediare con enti locali per millantate opportunità e necessità. La prima necessità è salvaguardare la bellezza a Venezia e Firenze soprattutto. Non esistono ragioni di accoglienza (un albergo) o di giustizia (un tribunale) che legittimino architetture deliranti o invadenti. Il progetto del presidente del Consiglio di limitare il potere delle Sovrintendenze o di subordinarlo alle Prefetture è criminale. E se ne vedono gli effetti.

Quello che è accaduto a Venezia deve far riflettere sulla necessità di potenziare, non ridurre il controllo delle Sovrintendenze. Cedere a compromessi, mediare e tentare di conciliare le esigenze pratiche con la difesa della bellezza, porta a catastrofi come queste. Per la tutela del patrimonio artistico il potere di controllo non deve essere interessato e vicino, ma indifferente e lontano.

Come è quello dell'Unesco tanto spesso invocato. Ogni mediazione provoca danni. E che dopo il Bauer e la Cassa di Risparmio, Venezia debba aggiungere un terzo mostro nel primato dell'orrore, è un insulto al mondo, prima ancora che a Venezia e all'Italia.

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