Cucchi, i David di Donatello e la liturgia del «martire»

L a liturgia per il culto di Stefano Cucchi è stata celebrata ancora mercoledì al David di Donatello. Alessandro Borghi, l'attore che ha recitato la parte di Cucchi nel film «Sulla mia pelle», ha dichiarato che il premio ricevuto non era suo ma del giovane spacciatore romano, di cui si ricorda la fine soltanto con lo scopo di santificare la sua figura e demonizzare l'Arma dei Carabinieri. Borghi ha ricordato l'importanza di essere considerati umani a prescindere da tutto, e questo tutto, s'immagina, possa essere rappresentato dalle vicende che hanno segnato la vita di un tossicodipendente che per procurarsi la dose aveva scelto di venderla ad altri giovani sfortunati da considerare umani come lui, da tutelare come e più di lui proprio da quelli come lui. Quando si tratta di Cucchi il politicamente corretto arriva alle stelle, e non soltanto perché il povero ragazzo sarebbe morto per le presunte percosse ricevute dai carabinieri. Sul sito dell'associazione «Stefano Cucchi Onlus» si legge che il loro scopo, ammirevole, è quello di aumentare la sensibilità sui temi che riguardano il rispetto dei diritti umani fondamentali, troppo spesso defraudati dalla discrezionalità di chi gestisce il potere, ma nemmeno una riga o un evento che riguardi la tossicodipendenza chi tenta una cura per ridare una speranza ai drogati e alle loro famiglie.

Sembra che la triste vicenda della morte di Cucchi abbia scotomizzato completamente l'origine del male che lo ha portato alla morte. «Considero Cucchi una vittima delle sue patologie, della tossicodipendenza, e anche di eventuali violenze subite, se verranno definitivamente accertate - chiosa Carlo Giovanardi -. Mi sono opposto alla proposta di intitolargli il nome di una strada perché nel nostro ordinamento è possibile soltanto 10 anni dopo la morte di una persona, con l'eccezione di chi è riconosciuto come benemerito della Nazione, e non mi sembra questo il caso. Sarebbe stato meglio se Borghi avesse dedicato il premio non soltanto a Stefano Cucchi, ma anche a chi ha perso la vita a causa della droga».

Ilaria Cucchi continua la sua battaglia per i diritti di Stefano ma sembra aver rimosso la sofferenza provata tutte quelle volte in cui ha visto suo fratello distrutto dalla droga. «Prima del ricovero incriminato Cucchi era stato portato al pronto soccorso 17 volte per ferite, lesioni e fratture che si era procurato nel suo ambiente violento perché tossicomanico. L'ultima perizia depositata nelle settimane scorse in Corte di Assise di Appello nel processo contro i medici dell'ospedale Pertini imputa a patologie pregresse, malnutrizione e ad un fisico indebolito dall' uso di droghe la causa della morte » riferisce Giovanardi. Una sorella o una madre che vede il figlio perdersi nell'abisso della sostanza non vuole tolleranza né liberalizzazione. Un parente vorrebbe che lo stato garantisca per chi ama luoghi scevri da pericoli, dove un ragazzino non incontri sulla strada chi gli vende la morte.

Quando si parla di Cucchi si mette un moto un meccanismo adolescenziale per cui la trasgressione non è pericolosa mentre le forze dell'ordine sono sempre i cattivi da evitare. Santificare Stefano trasformandolo da vittima in martire, stendendo un velo pietoso sul suo passato antisociale, manda un messaggio negativo ai nostri giovani: se ti droghi non muori, muori se ti picchia la polizia.

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