I soldi del decreto non arrivano alle imprese. Il segnale più chiaro che il Cura Italia non sta funzionando? Il ministero dell'Economia istituisce una task force e il Pd propone un comitato parlamentare. «La situazione è imballata - conferma al Giornale il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti - la nostra pa è allenata a ragionare secondo vecchie logiche, non quelle imposte dal coronavirus. E i soldi non escono dalle banche».
Già, perché il decreto affronta la questione centrale, la liquidità a disposizione delle imprese, soprattutto quelle piccole, ma demanda la distribuzione delle risorse agli istituti di credito, fornendo la copertura attraverso il Fondo di garanzia per le Pmi la cui dotazione è stata incrementata. Il decreto prevede l'automatico prolungamento delle linee di credito già in essere fino a fine settembre e una garanzia statale dell'80 per cento su nuove linee di credito fino a 500mila euro, oltre a un'erogazione immediata di 3.000 euro per le necessità di sopravvivenza del piccolo imprenditore senza verifica bancaria delle garanzie personali, sempre con garanzia pubblica. Ma è la teoria. «Nella pratica - spiega Gianluca Timpone, commercialista e docente di Politica economica all'Università europea di Roma - le banche avviano comunque l'istruttoria per verificare la solvibilità, nonostante la garanzia pubblica». Timpone segnala addirittura qualche caso di vero e proprio tradimento dello spirito del decreto, come è capitato a un imprenditore che ha chiesto di sospendere le rate di un mutuo da 3,2 milioni per sei mesi e si è visto calcolare gli interessi non solo sulle rate sospese da 20mila euro ciascuna, ma sull'intero importo residuo. «Gli interessi pagati su quelle rate così lievitano a un tasso del 30%», denuncia Timpone. Ma al di là di singoli comportamenti discutibili, le banche in questo momento sono in difficoltà sull'operatività concreta. Il Confidi di Confartigianato ha visto scendere la percentuale di pratiche accolte dall'80 al 35%. «Al di là della buona volontà degli istituti di credito - spiega Merletti - le banche hanno le stesse difficoltà pratiche delle altre aziende. In più restano i dubbi sulle regole europee che impongono requisiti di solvibilità dei crediti concessi». La Bce ha riconosciuto la straordinarietà del momento, ma concretamente le banche sembrano non avere istruzioni chiare per muoversi. Servirebbero automatismi che al momento non ci sono, come denuncia il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera Francesco Lollobrigida: «Va garantita liquidità a famiglie e imprese subito, poi vedremo se si tratta di prestito o donazione dello Stato».
A rischiare sono soprattutto le piccole imprese che, denuncia Confartigianato, rischiano di fare da bancomat per le grandi: l'associazione ha già raccolto segnalazioni di mancati pagamenti ai fornitori.
C'è poi il problema della cassa integrazione. Il decreto l'ha estesa, senza obbligo di accordo con i sindacati, alle aziende con meno di sei dipendenti. Ma ha centralizzato il meccanismo: tutte le istruttorie dovranno essere fatte dall'Inps. Molti dipendenti delle Pmi rischiano una Pasqua senza salario o peggio, se le imprese chiudono i battenti. Ecco perché l'istituto presieduto da Pasquale Tridico ha deciso di semplificare le procedure per l'accredito della pensione e di altre prestazioni: dal 10 aprile per ricevere l'assegno su conto corrente, libretti di risparmio e carte prepagate basterà affidarsi alla banca o alla società emittente della carta per presentare in automatico la richiesta. In questo modo gli sportelli Inps saranno meno affollati e ci si potrà concentrare sulle nuove priorità.
Servono
soluzioni semplici. Come il piano Bridge proposto da un gruppo di economisti guidato dall'ex alto funzionario del Mef Fabrizio Pagani: prestiti senza interessi garantiti dallo Stato subito. Senza aspettare task force e comitati.
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