I l ritornello da ripetere è sempre lo stesso, recitato dal premier Giuseppe Conte e dall'ex capo politico Luigi Di Maio nei giorni scorsi: «Queste sono elezioni regionali, non nazionali», dicono fonti del M5s in serata, a urne ancora aperte. La débâcle, però, non si può ignorare. Anche se nessuno, seppure con declinazioni diverse tra gli esponenti delle diverse correnti, avrebbe voluto partecipare alle elezioni regionali con queste modalità. In una corsa solitaria, facendo da comprimari alla vecchia sfida di sempre, quella tra il centrodestra e il centrosinistra. Nonostante la maggioranza di governo stia studiando una legge elettorale proporzionale, il ritorno di fatto al bipolarismo sta disorientando i grillini, appesi come non mai tra la tradizione dell'equidistanza tra i due schieramenti tradizionali e la tentazione di fare del Movimento una costola della sinistra a guida Pd. Gli uomini vicini al ministro degli Esteri si schermiscono: «Noi eravamo per non presentarci, ma è stato giusto far decidere gli attivisti su Rousseau».
Percorrendo il corpaccione stellato in direzione della «sinistra» grillina, le opinioni cambiano. L'ampia compagine filo-dem, pronta a spingere dopo gli stati generali perché il M5s abbia una guida collegiale con un primus inter pares, mette comunque nel mirino la strategia «terzista» dell'ex capo politico. «Dovevamo decidere da che parte stare», è il pensiero di un parlamentare critico nei confronti di Di Maio.
Chi non condivide la linea del leader dimissionario è rimasto in silenzio per tutta la campagna elettorale. Dal senatore Emanuele Dessì al deputato Luigi Gallo, entrambi tra gli animatori delle ultime riunioni di (ex) dissidenti. Nessuna indicazione di voto da Roberta Lombardi, né da Paola Taverna. Di Maio è stato a Bologna per sostenere il candidato Simone Benini in un piazza con meno di 200 persone il giorno successivo alle dimissioni, il reggente Vito Crimi ha chiuso la campagna elettorale a Cesena davanti a un pugno di attivisti. Alcuni consiglieri regionali uscenti e molti militanti hanno invitato al voto disgiunto in favore del candidato governatore del centrosinistra Stefano Bonaccini.
Ci sono tutti gli elementi di un film tetro e desolante, nella regione che ha visto la nascita del grillismo. Dieci anni fa, quando il Movimento elesse i suoi primi consiglieri regionali in Emilia-Romagna, i Cinque stelle ottennero il 7%. Al di sopra del risultati accreditati ieri dai primi exit poll. In Calabria i problemi sono speculari. Con il senatore Nicola Morra, esponente calabrese di spicco, che aveva auspicato chiaramente di non presentare nessuna lista. E le polemiche della deputata Dalila Nesci che voleva correre in prima persona al posto del candidato Francesco Aiello. Sul quale hanno pesato anche le polemiche sulla parentela con un boss mafioso ucciso nel 2014. «Non sosterrò la lista» aveva detto Morra, presidente della Commissione antimafia, all'indomani della diffusione della notizia.
A fare da sfondo, le prossime mosse dei parlamentari scontenti. «Tanti aspettavano il risultato delle regionali per andare via», dice un deputato. La direzione è quella dell'ex ministro Lorenzo Fioramonti, che acquisito il verdetto delle urne, a breve potrebbe dare vita a Montecitorio al suo gruppo progressista e ambientalista Eco in supporto al governo Conte.
E sono in arrivo le espulsioni e le sospensioni per i morosi delle restituzioni. Cinque o sei parlamentari potrebbero essere cacciati dal Movimento. Fino agli stati generali di marzo non ci sarà pace per i Cinque stelle. E il dopo è un'incognita.
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