Dagli scontri di piazza all'idea di intesa l'insostenibile desistenza di Mélenchon

L'ala radicale del blocco di sinistra digerisce a fatica l'appoggio ai governativi. E lo scetticismo è ricambiato

Dagli scontri di piazza all'idea di intesa l'insostenibile desistenza di Mélenchon
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C'eravamo tanto odiati, ci odiamo e continueremo a odiarci. Con questo spirito, tutt'altro che ecumenico, il frastagliato fronte antilepenista si prepara ad affrontare domenica prossima la seconda fase di una campagna elettorale brevissima quanto folle voluta da un mercuriale Macron dopo l'impietoso verdetto delle Europee. Il dato è noto: al primo turno il Rassemblement National ha ottenuto il 33,15% dei suffragi, migliorando di un 1,78% il risultato del 9 giugno, mentre Ensemble, la coalizione presidenziale guidata da Gabriel Attal, è precipitata in terza posizione con un 20,76%. In mezzo con un panciuto 27,99% si è posizionato Jean-Luc Mélenchon con il Nouveau Front Populaire un ircocervo ultra sinistrorso che raccoglie assieme alla sua La France Insoumise altre trenta sigle e siglette e ora il tribuno della «Francia creola e meticcia» si gode la sua inattesa centralità.

All'appello del presidente per un «fronte repubblicano» al fine di contendere i preziosi seggi nei ben 306 duelli triangolari (un vero record: nel 2022 erano sette e nel 2017 appena uno) e cinque quadrangolari, Mélenchon ha risposto che «da nessuna parte permetteremo al Rn di vincere, ritireremo la nostra candidatura se siamo terzi»; la presidente di Lfi, Mathilde Panot, ha precisato: «solo se il Rn è in testa». Risultato: ieri quasi duecento candidati di Nfp e del blocco macronista si sono ritirati dalla competizione lasciando spazio al miglior classificato. Un successo, almeno apparentemente. Le cose però sono più complicate di quanto appaiano.

Per il leader dell'estrema sinistra transalpina si tratta di un passo tutto sommato accettabile: nel primo turno ha conquistato 79 prime posizioni contro le 48 di Ensemble. Mal che vada il sorpasso sui detestati macronisti è certo e poco importa se la fragile intesa reggerà nelle urne. Secondo i sondaggi l'elettorato del Nfp confermerà il voto ai «suoi» candidati mentre più problematica appare la convergenza del turbolento popolo di Mélenchon su personaggi moderati legati all'esperienza dell'inviso governo uscente.

Gli ultra sinistrorsi e i vari segmenti protestatari che formano lo zoccolo duro del Front non perdonano all'inquilino dell'Eliseo le sue politiche liberiste tra tutte la riforma pensionistica del 2023, pretesto per duri scontri di piazza e il suo allineamento iperatlantista e filo israeliano. Non a caso domenica Mélenchon ha voluto sul palco proprio Rima Hassan, la neo eurodeputata franco-palestinese, nota per le sue intemperanze (condite da qualche fake news) contro Israele.

Un chiaro segnale lanciato agli islamo-gauchisti e alle tribù multietniche delle periferie che però spaventa e irrita quell'elettorato che aborre posizioni massimalistiche e forzature estremistiche. Ricordiamo che un recentissimo sondaggio di Odoxa ha stimato attorno al 47% gli elettori che si dichiarano pronti a bloccare il Nfp nelle urne (l'Rn registra solo il 41% di oppositori assoluti). Intenzioni che stanno dilaniando anche il mondo macronista: «Non chiederò mai di votare per il Nfp», ha dichiarato il ministro Aurore Bergé.

A sua volta l'ex primo ministro Édouard Philippe, ha chiesto esplicitamente di non dare voti né al Rn né al Nfp. Insomma, Mélenchon a molti fa più paura di Bardella. Una volta di più Macron potrebbe aver sbagliato i conti.

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