Dai vescovi alla Camusso strano asse anti Matteo Cgil pronta allo sciopero

Si allarga il fronte contro la riforma del lavoro. Ma Bagnasco, presidente Cei, dopo le critiche apre: "L'articolo 18 non è un dogma di fede"

Dai vescovi alla Camusso strano asse anti Matteo Cgil pronta allo sciopero

Per due giorni di seguito i vescovi, prima il direttore del Corriere della Sera ; quotidianamente la minoranza del Pd (a giorni alterni Pier Luigi Bersani), qualche settimana fa la magistratura. Più che «forti» i poteri che frenano il premier Matteo Renzi sono eterogenei. Un fronte complesso e differenziato al quale ieri ha dato di nuovo il suo contributo il primo sindacato italiano, nel più classico dei modi.

Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso al termine del direttivo del suo sindacato ha annunciato una «grande manifestazione» nazionale della sola Cgil che si terrà a Roma in piazza San Giovanni il 25 ottobre. Sarà «all'insegna del cambiamento del nostro Paese, a partire dalla libertà e dall'uguaglianza nel lavoro. Una manifestazione che inizia in una stagione per noi di conquista di un cambiamento della politica economica». Insomma, il tentativo di tradurre in azione le ostilità verbali contro il governo Renzi, che sono iniziate già da tempo.

In prospettiva Camusso non esclude uno sciopero generale, ma solo se il governo sceglierà di procedere con un decreto. Cioè se si deciderà di evitare le trappole parlamentari per la parte più critica della delega con il Jobs Act, quella che contiene il contratto a tutele crescenti in una formulazione che sospende per alcuni lavoratori l'articolo 18 dello Statuto. L'alternativa è tra la legislazione d'urgenza e un campo minato che non potrà che fare emergere tutte le difficoltà della maggioranza. Difficile che il leader del primo sindacato non lo sappia.

«Se si decidesse di procedere con il decreto bisogna proclamare lo sciopero generale», ha detto Camusso parlando a una platea del tutto particolare, quella dell'assemblea nazionale della Fiom. Fino a qualche anno fa erano i metalmeccanici Cgil a chiedere scioperi generali, oggi è il vertice della confederazione a proporlo, facendo apparire un moderato persino Maurizio Landini, leader Fiom che non può non essere filo governativo, ma è anche l'unico sindacalista che ha allacciato con Renzi un rapporto di dialogo. Una recita a parti invertite che Camusso ha giocato fino in fondo.

La delega del governo, stilata dal ministro Giuliano Poletti secondo la leader sindacale ci farà tornare a «una concezione di lavoro servile». Male anche tutto il resto, in particolare la manovra che sta per arrivare attraverso la Legge di stabilità, che si dovrebbe aggirare intorno ai 20 miliardi di euro, compreso lo sforzo per i nuovi ammortizzatori sociali che serviranno a compensare le novità sui rapporti di lavoro.

La proposta alternativa per trovare risorse proposta da Camusso è di quelle che seminano panico tra risparmiatori. Bisogna partire «dalla patrimoniale sulle grandi ricchezze». Un atto di sfiducia verso tutte le politiche del governo Renzi, che sembra molto una chiamata alle armi rivolta a chi in queste settimane ha deciso di rompere gli indugi attaccando l'esecutivo. Forse solo agli altri sindacati (ieri Camusso ha detto che le divisioni tra le confederazioni servono solo al governo e ha annunciato incontri con Cisl e Uil per decidere una linea comune), forse qualcosa di più.

Le motivazioni dello strano fronte extraparlamentare (cioè escludendo l'opposizione politica) anti Renzi sono comunque molto diverse, così come le argomentazioni. Ed è difficile che alla manifestazione del 25 ottobre si veda qualcun altro rispetto ai sindacalisti e il solito mondo di movimenti antagonisti e partiti di estrema sinistra, che ormai da 20 anni è l'unico seguito delle manifestazioni Cgil. Gli stessi vescovi, che venerdì avevano lanciato un messaggio del lavoro che era stato interpretato come un attacco al Jobs Act, forse intendevano dire qualcosa di diverso. Ieri il presidente della Cei il cardinale Angelo Bagnasco ha detto che l'articolo 18, quello che prevede il reintegro se un lavoratore è stato licenziato senza giusta causa, non è «un dogma di fede» e qualsiasi decisione serve solo se mira a creare posti di lavoro «altrimenti non serve a niente».

Sicuramente una frecciata a Renzi, nel senso che né il premier né altri potranno mai garantire che una misura così di dettaglio possa incoraggiare le assunzioni. Ma anche una posizione radicalmente diversa rispetto a quella della Cgil.

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