Alla fine dipende sempre dalla discrezionalità del giudice. Parliamo dell'articolo 18 e dei diversi casi di reintegro. La bilancia, molto spesso, pende a favore del lavoratore. Anche nei casi più assurdi. Qualche esempio? Nel saggio "Art.18: la reintegrazione al lavoro" curato da Massimo Bornengo a Antonio Orazi e riportato oggi dal Corriere della Sera ce ne sono tanti. C'è l'alcolista cronico che non andava a lavorare e non avvertiva l'azienda: reintegrato perché "l’assenza dal servizio e l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione non possono costituire giustificato motivo soggettivo di licenziamento quando son dovute non già a stati di ubriachezza, bensì a un danno cerebrale costituente l’esito della prolungata assunzione dell’alcol e dei suoi effetti".
O ancora: c’è l’infermiere che picchia un paziente e il giudice che lo "grazia" in quanto "si è trattato di un fatto isolato ed eccezionale in relazione a un paziente particolare" e "l’aver perso per una volta il controllo delle proprie azioni non può giustificare quella che rimane un’estrema ratio". C'è poi il vigile del fuoco beccato a rapinare una banca, sospeso dal servizio ma riammesso con il pagamento degli arretrati da un magistrato indignato perché è "vergognoso rovinare prima di una condanna una persona e la sua famiglia per una sostanziale esigenza di immagine, di apparenza dell’istituzione, in assenza di un concreto pericolo in ambiente lavorativo e nella società…".
E i casi continuano: c 538em;">’è l’operaio che mostra i genitali ai suoi colleghi e viene reintegrato, "tenuto conto che il gesto esibizionistico era compiuto in assenza di personale femminile, non era stato dettato da istinti sessuali e, pur nella sua volgarità e indecenza, non aveva integrato gli estremi del delitto di atti osceni".
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