Il fenomeno dei rettori che scelgono di aumentare i propri compensi in ordine al decreto 143 del agosto 2022, emanato nell'ultimo periodo del governo Draghi, è finito sotto la lente di ingrandimento del ministero dell'Università e della Ricerca, che ora vuole intervenire per migliorare la ratio del provvedimento. Nell'ultimo anno sono numerosi i rettori che, legittimamente in base alla legge, hanno deciso di aumentare il proprio emolumento annuo, talvolta più che raddoppiandolo. L'incremento deve inserirsi in uno studio di sostenibilità dell'università, valutando patrimonio netto, attivo, valore prodotto e spesa per il personale, e non può comunque superare i 240mila euro annui complessivi.
Le motivazioni assunte per l'aumento da parte dei rettori si basano principalmente sulla nuova concezione di università, che avvicina gli atenei alle aziende, e alle conseguenti maggiori responsabilità alle quali i rettori sostengono di dover far capo. Ma per come è strutturato attualmente il dispositivo, l'aumento dell'emolumento deve passare per il Mur, che deve concedere il proprio nulla osta all'operazione. Tuttavia, questo è un passaggio non decisorio, che non prevede la possibilità per il ministero di fare opposizione sul provvedimento o di accettarlo: è solo una comunicazione con la quale il ministero viene messo a conoscenza dei fatti.
Fonti del Mur spiegano che è allo studio una modifica per snellire la burocrazia e rendere il tutto più gestibile e più snello, evitando passaggi inutili. Una delle opzioni allo studio è quella di svincolare completamente la decisione dal ministero dell'Università, rendendola dipendente esclusivamente dall'ateneo e, quindi, dal rettore. Un provvedimento che metterebbe gli atenei, e i loro gestori, nella condizione di doversi assumere in toto la responsabilità di un aumento, senza più il paracadute della firma del Mur per l'avallo.
Questa soluzione potrebbe far storcere il naso a chi non intende assumersi la gravosa incombenza. L'alternativa allo studio prevede una concezione completamente opposta dello schema, nel quale il parere del Ministero di competenza diventa strettamente vincolante. La decisione del Mur sulla proposta di aumento del compenso verrebbe assunta sulla base di criteri di sostenibilità dell'ateneo, e solo dietro il via libera del ministero dell'Università e della Ricerca ci potrebbe essere il via libera per l'incremento. Questo renderebbe le pratiche più rigide e non vi sarebbe certezza dell'approvazione, il che potrebbe non piacere a qualcuno. Ma va considerato che ci sono università in cui vengono prese iniziative discutibili con i fondi dell'ateneo, com'è accaduto al Politecnico di Bari, che ha stretto una convenzione con Amazon Business per agevolare la ricerca, permettendo ai dipendenti di acquistare materiale per la ricerca. Ma in realtà, com'era facile immaginare, tecnici e docenti hanno acquistato un po' di tutto. Perfino delle scope. E poi c'è chi, come l'università di Siena, ha deciso di investire dei fondi per piantare un albero nuovo per ogni matricola iscritta ai suoi corsi e iniziare così la costruzione di un bosco, il «Lecceto di UniSi». «Io metto la firma su svariati milioni di euro, una responsabilità che si estende a tutto il personale, circa 3000 persone, a 42.000 studenti a 700.000 metri quadri di strutture, di cui 600.000 coperti», ha spiegato lo scorso maggio il rettore dell'università Aldo Moro di Bari, Stefano Monzino, che ha aumentato il suo compenso da quasi 72mila euro a 160mila euro annuali, con anche effetto retroattivo sul 2022.
Come lui, hanno fatto anche i rettori dell'Università di Cagliari e quello dell'Università di Macerata, solo per citarne alcuni. Il cambiamento del paradigma si inserisce in un contesto di semplificazione della burocrazia, che mira ad annullare un passaggio inutile come quello previsto dal sistema.
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