Un preside e una professoressa di Treviso hanno esentato due alunni di fede musulmana dallo studio di Dante Alighieri, colpevole, si fa per dire, di aver collocato Maometto all'Inferno. Le famiglie hanno chiesto e ottenuto che i figli, attualmente in terza media, non abbiano nulla a che fare con la Commedia. Niente lezioni, niente interrogazioni, niente voti, al massimo un po' di Boccaccio in cambio. Antistorica e grottesca la motivazione: «Dante offende l'islam». Peccato l'Alighieri sia una parte irrinunciabile del normale programma scolastico. Non potrebbe essere altrimenti, essendo la Commedia, insieme, una opera d'arte, una fonte storica e la miglior descrizione del mondo, non solo materiale, del nostro Medioevo. Un pilastro, quindi, riconosciuto come tale da tutte le culture, inclusa quella islamica in tempi più tolleranti. Non conoscerlo significa condannarsi a non capire l'Occidente.
In questa solo all'apparenza piccola storia di provincia, si intravvede il male profondo della nostra società. Il multiculturalismo, fondato sul vittimismo delle minoranze, ha scavato fossati invalicabili e reso impraticabile il confronto. Siamo agli antipodi della cultura correttamente intesa. Le differenze non si cancellano: si spiegano. Altrimenti arriveremo a scuole con menu alla carta. Questa frammentazione di culture è il risultato opposto all'obiettivo di una istruzione che ha il dovere di preparare cittadini in possesso di strumenti per capire le idee altrui, specie se decisive per la nascita della modernità. Qui, forse, tocchiamo il secondo punto dolente. Questa resa è specchio delle nostre insicurezze. Da decenni, ormai, sentiamo ripetere che la civiltà occidentale è sinonimo di sopraffazione e saccheggio colonialista. L'odio per le proprie radici è proprio una malattia del pensiero, e ha un nome: oicofobia. L'oicofobia ci spinge a rinnegare il peggio ma anche il meglio della nostra civiltà rendendola, infine, un guscio vuoto. Secondo queste teorie, la nostra cultura dovrebbe fare uno o due passi indietro e smetterla di considerarsi superiore.
Ecco, la scuola serve proprio a mostrare l'ignoranza nascosta dietro a un simile atteggiamento. Nessuno si illude di discendere da una civiltà di santi. Proprio per questo è necessario non cancellare niente e comprendere tutto. Solo in questo modo si sviluppano i giusti anticorpi ma anche la giusta consapevolezza di quanto siano validi il sistema democratico e le libertà individuali che abbiamo faticosamente acquisito. Certo, se si rinuncia a spiegarsi, come accaduto a Treviso, si rinuncia a intendersi. E così ogni minoranza (e tra poco anche noi indigeni saremo una minoranza tra le minoranze) vive chiusa nel suo recinto, incapace di uscire dalla prigione del risentimento e del disprezzo. Il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, ha disposto una ispezione per stabilire come siano andati i fatti. Nel frattempo, tutte le forze politiche di centrodestra hanno manifestato disappunto per la decisione della scuola di Treviso.
Non è la prima volta che Maometto all'Inferno suscita reazioni della comunità musulmana. È il caso della Basilica di San Petronio a Bologna. In un celebre affresco, Maometto è ritratto tra le fauci del diavolo. Dopo una lunga serie di minacce, l'esercito ha deciso di lasciare un presidio.
Cedere non è una bella idea.
La cultura della resa non è buona cultura. Qualcuno potrebbe trovare offensive le storie con omosessuali (non sono simpatici a molti religiosi) o chiedere di bandire i tortellini alla bolognese. E poi trovare indigeste anche democrazia e libertà.
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