"È una strana battaglia con punte di ipocrisia: il protagonista, Davigo, del sistema ha sempre fatto parte a pieno titolo. S' è accorto dell' insopportabile peso delle correnti nel Csm solo dopo aver concluso la sua presidenza dell' Associazione magistrati. Una strumentalizzazione elettorale". Così Rita Sanlorenzo, ex segretaria di Magistratura Democratica, candidata alle elezioni del Csm per Area, gruppo dei magistrati progressisti, intervistata da La Stampa, parla di Piercamillo Davigo, leader della corrente Autonomia e Indipendenza, nata nel 2015, suo sfidante nel collegio della Cassazione.
Secondo Sanlorenzo "è vitale richiamare tutti a un' etica della responsabilità nelle scelte, battere la disaffezione di molti magistrati verso il Csm, evitare che si riduca a mero organo amministrativo, senza rapporti con il Paese". Giudica negativamente il libro sul caso Robledo-Bruti Liberati perché "per denunciare un' infezione, peraltro tracciata superficialmente con molte omissioni, spara una bomba sull' intero sistema di autogoverno dipingendolo come irrimediabilmente opaco e corrotto". "Una tesi di parte diventa il grimaldello per screditare l' intero sistema, colpendo anche la Procura di Milano. Non so se ci si rende conto della pericolosità delle conseguenze", continua la Sanlorenzo che attacca la discesa in campo dell'ex presidente dell'Anm. "Davigo - dice - è un signor magistrato a due anni dalla pensione. Ma la sua storia non lo legittima ad accreditarsi come alfiere unico della moralità: nel sistema ha sempre operato attivamente, condividendone pregi e difetti. Altro che homo novus".
E ancora: "Davigo non arriva certo dalla luna. Ha una fisionomia ideologica precisa, fondata su una formazione di destra, che non lo abbandona certo nell' ultima versione che offre all'esterno". Si tratta di una destra "che cavalca l' illusione securitaria con slogan semplicistici che vogliono solo più reati, pene più alte, più carcere. Priva di ogni cultura delle garanzie, la cui assenza produce frasi agghiaccianti e rivelatrici come quella secondo cui 'di fronte a un imputato dichiarato innocente bisogna chiedersi se non sia un colpevole che l' ha fatta franca' ". Una visione del ruolo della magistratuta che viene vista "non come corpo dello Stato al servizio della legalità, ma come tutore esclusivo della moralità pubblica" e "che si autocolloca su un piedistallo (ignorando la questione morale che all' interno la agita) da cui esprime giudizi che vanno ben oltre le aule di giustizia".
La lunga intervista si conclude con un ultimo affonda a Davigo: "Nessuno può ergersi a censore delle condotte altrui con una permanente esibizione di popolarità. Se fossi Davigo non godrei così visibilmente per intervistatori compiacenti e platee osannanti. Su questa sovraesposizione mediatica converrebbe riflettere".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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