L'udienza si è svolta ieri al Tar di Roma. Fabio De Pasquale (nella foto) va all'attacco e prova a far annullare il provvedimento del Csm che nelle scorse settimane gli ha tolto i gradi e l'ha retrocesso da procuratore aggiunto a semplice pm.
Tecnicamente, il Csm non ha riconfermato l'incarico direttivo, come si dice in gergo, che De Pasquale aveva ricoperto nel quadriennio 2020- 2024 alla procura di Milano. In sostanza, però il Csm si era trovato a dover gestire una situazione imbarazzante: la condanna del celebre pm, autore di molte importanti indagini, a 8 mesi per aver nascosto alcune prove in un procedimento riguardante l'Eni.
Un fatto grave, anche se la sentenza del tribunale di Brescia potrebbe essere ribaltata in appello. E però ora arriva la contromossa del pm che non si arrende ma rilancia e prova a mantenere il prestigioso incarico che gli era stato sfilato.
C'è chi ritiene che il comportamento di Palazzo dei Marescialli sia stato in realtà troppo morbido e indulgente: di fatto un pm rimane a svolgere lo stesso lavoro, dopo una sentenza di condanna per non essersi attenuto alle regole della professione.
In attesa dell'appello, è fermo anche il procedimento disciplinare aperto a suo tempo contro il magistrato. Insomma, De Pasquale resta nella stessa stanza e il Csm aspetta i giudici penali, corte d'appello e cassazione, prima di rimettersi in moto. Ma lui non ha aspettato il Csm e ha deciso di far valere le proprie ragioni, chiamando in causa l'organo di autogoverno della magistratura e il Ministero della giustizia.
Ieri, la discussione davanti al Tar fra l'avvocato Girolamo Rubino, che tutela il magistrato, e l'avvocatura dello Stato. Una udienza lunga e articolata. Rubino ha sviluppato dieci temi, fra questioni formali e richiami a una serie di norme. Il verdetto arriverà nelle prossime settimane e al momento è impossibile formulare una previsione. Certo, al di là di tutte le querelle assai sofisticate, una vittoria di De Pasquale suonerebbe fatalmente come una delegittimazione del verdetto di Brescia che pure è estraneo alla contesa in corso.
Fra l'altro, in un complicato gioco di specchi, il giudice Roberto Spanò che ha emesso quel verdetto, e prima ancora aveva condannato Piercamillo Davigo, è a sua volta sotto inchiesta davanti allo stesso Csm per una potenziale incompatibilità: lui e la moglie Roberta Panico sono rispettivamente giudice e pm nella stessa città. Nei mesi scorsi sembrava che il dossier dovesse prendere la strada dell'archiviazione ma così non è stato: il 9 ottobre il plenum ha detto no e ha dato nuovo impulso a verifiche e approfondimenti.
Insomma, siamo in una filastrocca malata: De Pasquale
fa ricorso ai giudici del Tar contro il provvedimento del Csm che lo ha defenestrato dopo la sentenza del collegio presieduto da Spanò che deve difendersi a sua volta davanti al Csm. Un labirinto, fra tensioni e frizioni.
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