"Decisione dell'élite non del popolo. Difficile la rimonta, serve un ticket forte"

L'analista della Luiss: "Perso un anno. Ora ci vorrebbe una wonderwoman..."

"Decisione dell'élite non del popolo. Difficile la rimonta, serve un ticket forte"
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Professor Gregory Alegi, docente di Storia e Politica Usa alla Luiss di Roma, Joe Biden alla fine è stato preso per sfinimento o per il portafogli dai donatori?

«In realtà, per una serie di questioni tecniche, il portafogli nel partito lo teneva ancora lui. Nel senso che per una serie di questioni tecniche, i fondi raccolti fin qui non possono essere trasferiti ad altri candidati. Ecco perché è probabile che Kamala Harris faccia parte del prossimo pacchetto presidenziale. Altrimenti i Dem butterebbero le centinaia di milioni di dollari raccolti fin qui».

E infatti, alla fine, il presidente ha annunciato il suo appoggio alla vice Kamala Harris. Che succede ora?

«Contrariamente a quanto speravano i Repubblicani, Biden non si dimette dalla presidenza, ma resta. È chiaro che gestirà la campagna elettorale come il presidente che benedice il successore».

Che partita si gioca adesso?

«Quella sul pacchetto completo che i democratici venderanno agli elettori: candidato presidente, vice e programma. Se la candidata presidente e il programma, salvo piccoli ritocchi, rimarranno questi, sarà interessante capire chi sceglieranno come vice».

Che errori sono stati commessi fin qui?

«In termini strategici, non bisognava arrivare a questo punto. Serviva pensarci un anno fa. Ora si presenta l'ostacolo maggiore: lanciare un prodotto nuovo in tre mesi».

Partita persa per i Dem?

«La vedo davvero difficile. Biden già qualche settimana fa era sotto di tre punti nei sondaggi. Se a questo aggiungiamo il bonus attentato e quello convention a favore di Trump, ora ci vorrebbe un superman - o una wonderwoman - per farcela. Ma noi professori di storia le risposte giuste le abbiamo dopo 20 anni, per ora ne sappiamo quanto gli altri. È il motivo per cui in democrazia votiamo e non facciamo i sondaggi».

La frattura che c'è stata su Biden peserà sul partito?

«Vedremo di qui a tre mesi se questa sarà stata la mossa vincente oppure una mossa come quella del Pd, che ha cacciato Matteo Renzi per poi perdere le elezioni. Con le liti in pubblico si disamora l'elettorato. La rivolta di George Clooney e Nancy Pelosi fa molto l'effetto Capalbio: siccome non piace a noi, il popolo ci seguirà. Il punto è che Biden ha battuto Trump, mentre Hillary Clinton, che era la candidata voluta dal partito, ha perso contro Trump».

Che Trump vedremo d'ora in poi? Ringalluzzito o più spaventato?

«C'è tutta una linea interpretativa di chi dice che in fondo i Repubblicani erano ben contenti di combattere Biden perché sembrava l'avversario con fragilità più evidenti e sfruttabili. Staremo a vedere, se il nuovo candidato e il suo vice democratici saranno più forti e giocheranno contro i Repubblicani. Se il Partito democratico saprà annunciare un ticket forte, la vittoria repubblicana che si intravede nel breve periodo potrebbe anche tradursi in una sconfitta alle urne».

La partita si giocherà molto anche sul vice?

«Di Kamala Harris il partito conosce pregi e difetti. La ricerca di scheletri nell'armadio - il processo di vetting, come lo chiamano - l'hanno fatto quattro anni fa, quando fu candidata. Ora se prendono un altro elemento del ticket dal cilindro, non sanno quali scheletri ha. John McCain prese Sarah Palin e le sue debolezze emersero in campagna elettorale. Questa è un'altra fortissima incognita».

Devono decidere in fretta. E il tempo stringe.

«Il problema è che mettano qualcuno i cui problemi esplodono poi in faccia a ottobre. Non a caso, in temine tecnico, si chiama l'October surprise, il rischio che esca fuori qualcosa di brutto alla vigilia del voto».

Il mondo aspetta la nuova presidenza anche per capire in che direzione andranno i due conflitti in Ucraina e in Israele.

Trump è filo-israeliano, Kamala Harris ha simpatie pro-palestinesi, il primo vede Vladimir Putin come un interlocutore, la seconda è nettamente pro-Kiev. Cosa dobbiamo attenderci?

«È probabile che entrambi confermino le rispettive posizioni, sia per coerenza che per differenziarsi».

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