«Resistere, resistere, resistere», come in una immaginaria linea del Piave, ma fatta di bava degli avversari. Come il loggionista che ha urlato contro Ignazio La Russa alla Prima della Scala, il consigliere della Corte dei Conti Marcello Degni si candida a leader temporaneo della sinistra e si sceglie bene i riferimenti culturali, citando in un tweet su X l'ex procuratore capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli. Non pago delle polemiche per la sua sparata «potevamo farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata», il magistrato insiste nell'affondo contro l'esecutivo di centrodestra sulla legge di Bilancio, rivendicando sia la sua «autonomia» rispetto a una decisione - quella di blindare la manovra - che a suo dire «svilisce il ruolo del Parlamento da vent'anni», sia la sua libertà di espressione se fatta «in modo rispettoso, argomentando su una questione di cui mi occupo». Non la pensa così l'associazione magistrati della Corte dei Conti, che lo ha deferito al collegio dei probiviri per aver violato il codice deontologico che prevede «criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni».
Il cuore del problema, al di là dei deferimenti e dei proclami che trasudano rancore più che bava, è quel «noi», la partigianeria di una discesa in campo «virtuale» in nome dell'idea che con «l'ostruzionismo si poteva costringere l'Italia all'esercizio provvisorio, che non va demonizzato se è previsto dalla Costituzione, perché - ribadisce Degni alla Stampa - l'opposizione avrebbe potuto sfruttare di più gli strumenti del diritto parlamentare per marcare meglio la maggioranza sulla manovra». Nominato alla Corte dei Conti dal taciturno Paolo Gentiloni, («Purtroppo, l'ex premier si mostra loquace soltanto quando c'è da bacchettare il governo», gli ricorda Lucio Malan) Degni è uno dei tanti uomini del Deep State che in questi anni la sinistra - pur senza mai vincere un'elezione dal 2008 - ha collocato nei gangli vitali della vita pubblica, a spargere sabbia negli ingranaggi dell'azione politica, a tentare di intralciare «in nome della legge» l'attività di una maggioranza politica a lui certamente ostile. Come le tante «manine» che in questi mesi di fuoco hanno fatto uscire fake news sulla manovra, lo stato dei conti pubblici, la sostenibilità delle riforme, vedi le sentenze «svuota Cpr» del giudice Iolanda Apostolico, e via delegittimando.
«Sulla questione è montata tanta intolleranza, che travalica lo specifico. A questo punto rispondo con le parole di un grande magistrato: Resistere, resistere, resistere», ribadisce Degni ieri su X. Il centrodestra invoca vanamente le dimissioni di Degni, ma è come sparare con una pistola scarica: «Cacciarlo, cacciarlo, cacciarlo», è il mantra del capogruppo Fdi alla Camera Tommaso Foti, che ha presentato un'interrogazione parlamentare «contro i numerosi post di Degni contro il governo», mentre il suo partito chiede che Degni vegna audito a Palazzo Madama. Il Pd preferisce il mutismo selettivo, invano viene chiamata in causa Elly Schlein, che invece ha buon gioco a restare in disparte. Maurizio Lupi si illude: «Vuol fare politica? Lasci la toga, così potrà farci sbavare». Senza capire che la tattica della sinistra è precisa: marciare divisi, ognuno dal proprio posto di prestigio e di potere nel Palazzo, colpire uniti. «Registriamo un silenzio assordante da parte del Pd, a cui peraltro si deve la sua nomina», sibila il vicecapogruppo vicario della Lega Igor Iezzi.
«Visti i post su Pd, intellettuali sinistrorsi, fascisti dell'antifascismo, appelli alla resistenza e esaltazione di anarchici e terroristi rossi, Degni sembra un'esponente della sinistra extraparlamentare anni Sessanta», ragiona il sottosegretario al Mit di Forza Italia Tullio Ferrante. Nessuno si stupisca dello stato comatoso della giustizia, penale o tributaria che sia, visti i «Degni» protagonisti che ne decidono le sorti. E la riforma della giustizia dov'è?
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