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"Quello catalano è un 'golpe'. Noi 500 prof per la democrazia"

Lo storico: "Clima da anni di piombo, i docenti insieme per la Spagna"

"Quello catalano è un 'golpe'. Noi 500 prof per la democrazia"

Il fatto è che non c'è più tempo. Si è agito tardi, troppo tardi. E oggi è tutto un correre e un rincorrere, un rattoppare, in emergenza, «doveva esserci più politica quando i politici non vedevano», spiega Fernando Garcia Sanz, storico e direttore della Scuola Spagnola di Storia e Archeologia del Consejo Superior de Investigaciones Científicas a Roma. La profonda Spagna e le aspirazioni separatiste della Catalogna. Vecchia storia quella di Madrid e Barcellona contro, che oggi esplode in strada. La polizia, gli scontri con i manifestanti, gli arresti, gli appelli tv di Rajoy. Garcia Sanz è tra i 500 professori universitari che finora hanno firmato un manifesto, per denunciare il golpe catalano, in difesa della democrazia, quella vera, l'unica, a dispetto delle pretese accampate dai catalani.

Come si è arrivati a questo punto?

«Sottovalutando e aspettando. La politica e la legge doveva agire prima».

Fa bene Rajoy ad avere il pugno di ferro?

«Certamente. Anzi, lo Stato non ha mai avuto così ragione come adesso. A questo punto non c'è altro da fare. La democrazia va protetta e difesa».

Eppure la democrazia è la stessa che invocano i separatisti catalani.

«Ma non esiste. La democrazia è quella difesa da Mariano Rajoy. Ma ormai non è questione nè di partiti né di ideologie politiche. È questione di Stato, che sta difendendo la Costituzione, tra le più garantiste verso le autonomie, tra gli Stati più democratici al mondo. La Spagna è praticamente uno Stato federale, si può trovare lo spazio per negoziare. Non dimentichiamoci che in diversi paesi i partiti separatisti sono proibiti, in Spagna no, anzi vengono tutelati. Parliamoci chiaro: quello dei catalani separatisti, che per i sondaggi sono meno della metà, è disobbedienza al di fuori della democrazia, un colpo di stato vero e proprio, non si possono accettare dei continui ultimatum allo Stato».

Addirittura?

«Certo. Siamo nella situazione paradossale in cui il presidente della Generalitat, cioè il massimo rappresentante dello Stato nella Catalogna, dichiara di volersene andare. La Spagna ha una Costituzione, fuori da quella non si esce, prima di tutto vanno rispettate le leggi. I nazionalisti stanno facendo un uso bastardo, populista, delle parole. E con le parole non si scherza»

In che senso?

«Non c'è democrazia possibile senza legge. Parlano di democrazia quando stanno andando nella direzione esattamente opposta, quando stanno agendo al disopra dello Stato maggiore, dicono di parlare in nome del popolo. Ma di che popolo? Le sedute del Parlamento della Catalogna dei primi giorni di settembre, una vergogna per qualsiasi cittadino democratico, ha messo in evidenza il concetto di democrazia dei separatisti quando hanno sopraffatto tutti i regolamenti, tutte le leggi e sono arrivati al punto di impedire che le minoranze parlamentari potessero esercitare i loro diritti. Ma sappiamo noi europei il rischio che si corre quando un leader ha la presunzione di interpretare il pensiero del popolo. Quando ci dicono che il popolo è al di sopra della legge. Evidentemente a certa sinistra manca tanto Franco. Ma lui è morto e sono 40 anni che nel nostro Paese funziona la democrazia».

Qual è il rischio maggiore che vede?

«Aver provocato nella Catalogna questo clima di odio e di persecuzione contro gli unionisti, di minacce pesanti, i cartelli contro chi non sta dalla loro parte, le scritte minacciose sotto casa dei politici. Aver spaccato il paese, diviso la stessa società catalana. Tutto questo fa paura. Si respira un clima da anni di piombo. E la Spagna ha già pagato un pesante tributo in passato. Guai tornare indietro».

Che soluzioni ci sono allora per i catalani?

«Le dico quella che non è più possibile: smettere di non fare politica, iniziare invece a dialogare, ma le soluzioni non possono cercarsi al di là della legalità. Questa viene prima ristabilita. Oggi difendere la Costituzione spagnola significa difendere l'essenza dell'Unione Europea».

La principale colpa di Rajoy?

«La prudenza in questa situazione si è tramutato forse nel suo peggior difetto. Pochi giorni fa in parlamento un membro di sinistra repubblicana della Catalogna lo ha insultato e lui ha risposto con il suo impeccabile aplomb. E il clamoroso errore del 2012, quando Artur Mas ha indetto la manifestazione di piazza sperando in un plebiscito, le elezioni per l'autonomia del 2015, che non c'è stato, in cui gli indipendentisti hanno perso. Ecco: esattamente lì la miopia di Madrid ha fatto l'errore di sottovalutare i separatisti. Avrebbero dovuto far rispettare la legge.

Loro invece, incassata la sconfitta, constatato che i numeri dei separatisti non c'erano, invece di ripensare politicamente al loro destino, si sono buttati avanti, hanno alzato sempre più il tiro. Fino ad arrivare a questo pericoloso braccio di ferro che non porterà a nulla di buono».

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