Il dietrofront dei pm che fa evaporare la trama criminosa

Certi della colpevolezza di Toti, solo un mese fa avevano invocato il giudizio immediato

Il dietrofront dei pm che fa evaporare la trama criminosa
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Appena un mese e mezzo fa, il 30 luglio, la Procura di Genova era così sicura del fatto suo da chiedere per Giovanni Toti il giudizio immediato, quello che il codice consente quando la prova della colpevolezza è lampante: i pm avevano chiesto di portare a processo Toti saltando l'udienza preliminare, e il 5 agosto il giudice Paola Faggioni aveva accolto la richiesta. Data di inizio prevista, il prossimo 5 novembre.

In quella richiesta, i pm davano per assodate tutte le accuse che il 27 maggio avevano portato al clamoroso blitz, con la Guardia di finanza che si presenta all'Hotel Jolly di Sanremo, dove Toti ha passato la notte prima di un incontro con Flavio Briatore, e gli notifica l'ordine di arresto. Corruzione propria ed impropria, violazione alla legge sul finanziamento dei partiti: al centro dell'indagine il «sistema Toti», la scelta di rimettere in moto la Liguria dopo anni di immobilismo, divenuto secondo i pm in una macchina di finanziamento per le ambizioni nazionali del governatore. I finanziamenti contestati vanno tutti al «Comitato Toti» e alla lista «Toti per Bucci», in appoggio al sindaco del centrodestra a Genova Marco Bucci: che ora a Toti si candida a succedere.

Cosa sia cambiato nella linea dei pm, rispetto alle certezze del 30 luglio, non è facile capire. Nel decreto di giudizio immediato si accusava Toti di avere agito «in esecuzione di un disegno criminoso» e «per avere compiuto atti amministrativi anche illegittimi»: ora di quegli atti «anche illegittimi» la Procura, evidentemente, non è più così convinta. D'altronde un passo indietro lo ha fatto anche lui, Toti, che l'8 agosto - dopo essersi dimesso da governatore ed essere stato liberato dagli arresti domiciliari - spiegava di essere pronto a affrontare il processo e a dimostrarsi innocente, «Quello che è accaduto in questi tre mesi è un processo alla politica: ai finanziamenti, trasparenti e legali, agli atti, anch'essi legali e legittimi, che abbiamo ritenuto utili a far crescere la nostra terra». Ora anche lui su una parte di quella dichiarazione, «trasparenti e legali», sceglie di non insistere.

Resta, ora che la vicenda processuale scende di molti toni, da spiegare l'asprezza con cui è stata condotta l'indagine, a partire dalla decisione di fare scattare gli arresti, di colpire il governatore il 18 luglio con una nuova ordinanza di custodia, e dal diktat esplicito inviato ripetutamente dai magistrati a Toti, subordinando alle sue dimissioni la revoca dei «domiciliari».

Anche dopo il rinvio a giudizio immediato e la fine degli arresti, la Procura non aveva mollato il colpo: un nuovo capo di imputazione per una cena elettorale, una segnalazione della Banca d'Italia per dei versamenti «sosospetti» («dati contabili noti agli inquirenti da 24 mesi», replicò il legale di Toti). Il clima, insomma, non sembrava preludere a un'intesa tra indagato e Procura.

D'altronde non era facile per i pm ridimensionare le accuse scaturite da una indagine gigantesca, con i telefoni e gli uffici del governatore intercettati per due anni e quattro mesi, fino all'entrata in scena anche del trojan installato sul portatile di Toti: una massa di intercettazioni tale da mandare in tilt i server della Procura al momento del deposito finale.

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