Adesso c'è chi ricama sull'addio con il caso Sala in attesa di una soluzione. Ma la verità è molto più semplice: Elisabetta Belloni era arrivata a fine mandato, mancavano pochi mesi alla scadenza di maggio e dunque era giunto il momento di lasciare. Può darsi che si aprano altre strade, forse una collaborazione con Ursula von der Leyen ma sarebbe fuorviante alimentare gialli che non ci sono.
Piuttosto, si può ripercorrere brevemente la biografia di una diplomatica, ambasciatrice, senza macchie e ombre, di assoluta levatura e di grandi capacità che ha sfiorato, addirittura, il Quirinale. Pareva quasi fatta, nel 2022, con la convergenza sul suo nome di Matteo Salvini e Giuseppe Conte, la benedizione di Giorgia Meloni, la disponibilità di una parte del Pd a stringere sul profilo di quel civil servant passato da un incarico all'altro, sempre nell'interesse dello Stato. Ma nella giostra frenetica delle consultazioni, in quelle ore decisive, Renzi che era stato tagliato fuori dall'accordo, reagì alla sua maniera mettendosi platealmente di traverso e spiegando in tv agli italiani che non si può passare dal ponte di comando dei Servizi, dove si custodiscono dossier e segreti dei potenti, alla Presidenza della repubblica.
Risultato: Belloni non diventò la prima donna al Quirinale ma rimase alla guida del Dis, l'agenzia che coordina Aisi e Aise, la nostra intelligence. E lì rimarrà fino al 15 gennaio quando terminerà il suo lavoro.
Al Dis, a coronamento di un curriculum strepitoso, era approdata nel 2021, nominata da Mario Draghi e al Dis, in una posizione tutt'altro che notarile, è rimasta anche nell'era di Giorgia Meloni, a testimoniare una continuità nelle istituzioni che conforta. Nell'ultimo anno è stata anche sherpa per il G7 italiano e così ha dovuto destreggiarsi fra un compito e l'altro, risolvendo problemi e raccogliendo consensi.
Più di un quotidiano ha scritto che Belloni non avrebbe un buon rapporto con Alfredo Mantovano, il potente sottosegretario con delega ai Servizi. Ma il retroscena non convince fino in fondo: al Giornale risulta che Belloni stimi Mantovano e che lui abbia grande considerazione di lei. Non è questo il motivo di una conclusione che in qualche modo è fisiologica.
Semmai si deve registrare una distanza marcata, quella sì, fra la numero uno del Dis e il ministro degli Esteri Antonio Tajani ma quella è un'altra storia che non ha inciso più di tanto sulle ultime scelte.
Un fatto è certo: il cursus honorum di Belloni si svolge fatalmente a contatto con il potere ma senza sudditanze, timbri e appartenenze. Romana, sessantaseienne, Elisabetta Belloni è storicamente vicina, ai tempi della Prima repubblica, ad Arnaldo Forlani e alla sua famiglia. Nel 2004, il salto di qualità che le fa spiccare il volo: diventa capo dell'Unita di crisi della Farnesina e il suo nome comincia a circolare anche fuori dal circuito dei tecnici. Nel 2008 altro step: Belloni è capo della cooperazione allo sviluppo, quindi dal 2016 al 2021 segretario generale della Farnesina, chiamata da Paolo Gentiloni.
Draghi la vuole invece in quella posizione delicata di cerniera fra Aisi e Aise, Meloni la conferma e poi proroga di un anno, che non completerà, l'incarico. Anzi, per 12 mesi è pure sherpa per il G7, sommando responsabilità diplomatiche e di intelligence. E suscitando inevitabili polemiche.
Il suo nome ricompare nella girandola dei possibili successori di Raffaele Fitto, al ministero del Pnrr, ma poi quella poltrona viene occupata da Tommaso Foti e i giochi si chiudono. Oggi potrebbe cominciare una nuova vita a Bruxelles.
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