
Alcuni di loro, decine, erano lì di persona, a Santa Maria Maggiore, con un permesso speciale da parte del magistrato di sorveglianza. Molti di più, migliaia, si sono radunati davanti alla tv delle carceri per seguire i funerali del «loro» papa, José Bergoglio, il pastore che li ha fatti sentire i penultimi e non più gli ultimi.
Nel giorno in cui Roma è stata teatro del P-7, il raduno estemporaneo dei grandi leader del «mondo infame», c'è stato spazio anche per i detenuti che Bergoglio spesso ricordava negli Angelus e quando la cronaca o il cuore gliene offriva la possibilità. Sono stati loro a guidare il drappello dei quaranta emarginati (che comprendeva anche rifugiati, poveri, trans e persone in difficoltà) presenti a Santa Maria Maggiore in un luogo privilegiato della basilica, quelli che don Ben, alias Benoni Ambarus, il sacerdote romeno nominato proprio da Bergoglio responsabile della carità e della pastorale carceraria a Roma, qualche giorno fa ha definito «i figli prediletti» di papa Francesco. Quelli a cui nello stesso testamento il pontefice argentino ha lasciato 200mila euro, praticamente tutti i suoi soldi personali. E ieri queste quaranta anime in fuorigioco avevano davvero le lacrime agli occhi e, tutti, una rosa bianca in mano. «È stata una emozione grandissima - ha detto Tamara - sono stata all'ultimo saluto a Papa Francesco per ringraziarlo per le porte che ci ha aperto, dell'essere sempre presente con noi, spero che questo continui, perché così voleva e così spero che sarà».
Nel drappello c'erano anche cinque detenuti di Rebibbia, il carcere che Bergolio ha trasformato in una basilica lo scorso dicembre, aprendone la porta come quella di San Pietro spalancata poche ore prima per dare il via al Giubileo, gesto che ha consacrato il penitenziario romano - e con lui tutti i carceri del mondo - come luogo sacro per fede e umanità. Rebibbia è stato anche uno degli ultimi luoghi visitati da Bergoglio prima di morire, il 17 aprile, il giovedì di Pasqua. E Rebibbia, lontano una decina di chilometri dal centro attraversato dal corteo funebre, è stato uno dei carceri dove con più fervore è stata seguita davanti ai teleschermi la giornata di lutto e fratellanza. E lo stesso è accaduto in tutti i carceri della penisola, da Regina Coeli a Brescia.
«Il Papa sino all'ultimo ha avuto in mente gli ultimi, soprattutto le persone che stavano in carcere. Spero tanto che la sua morte possa costituire un momento di maggiore attenzione verso il mondo carcerario», dice il segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo.
Polemico Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato Uilpa Polizia Penitenziaria: «Oggi si celebra anche il culto dell'ipocrisia e, persino, della blasfemia dei tanti che si richiamano ai valori espressi dal Santo Padre, ma detenendone la responsabilità politica, nulla fanno per migliorare concretamente le condizioni delle prigioni». Sino a chi dice, evidentemente senza contegno e pudore, che opererà in suo nome».
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