Disabile denuncia la Regione "Mi nega il diritto all'eutanasia"

Battaglia dei radicali su un tetraplegico di 43 anni: va accertata la sua idoneità al suicidio assistito

Disabile denuncia la Regione "Mi nega il diritto all'eutanasia"

Un caso simbolico quanto vero e doloroso, che accompagna l'offensiva laicista dei radicali alle prese con la raccolta firme sul referendum per la legalizzazione dell'eutanasia. E così mentre la conta delle firme ha raggiunto quota 750mila (500mila fisiche e 250mila arrivate digitalmente con lo Spid), ieri l'associazione Luca Coscioni ha raccontato il caso di un 43enne marchigiano che, per primo, ha denunciato l'azienda sanitaria regionale per non aver verificato la compatibilità delle sue condizioni con il diritto al suicidio assistito.

Mario (il nome è di fantasia) si ruppe la spina dorsale come conseguenza di un incidente stradale, 10 anni fa, e una lesione del midollo spinale lo ha reso tetraplegico. Da allora vive immobile a letto nella sua stanza, assistito dai suoi cari. Per dieci anni ha preso tutte le sue medicine, si è sottoposto a ogni esame periodico che fosse richiesto. Ma la sua condizione è irreversibile, e il dolore fisico e quello psicologico non sono mai cessati, anzi. Così un anno fa ha preso la decisione di chiedere all'azienda sanitaria unica Regione Marche di verificare la sussistenza delle condizioni previste dalla sentenza della Consulta sul caso Dj Fabo/Cappato del 2019 per accedere al suicidio assistito. Restando in Italia, nel suo letto, accanto ai suoi affetti. Ma l'Asur ha risposto picche. E Mario si è rivolto all'associazione Coscioni per ottenere assistenza legale e impugnare il no dell'azienda sanitaria in tribunale, ad Ancona, dove Mario si è visto prima negare il suicidio assistito per poi, a giugno scorso, proprio alla vigilia della presentazione del referendum sull'eutanasia, ribaltare la decisione e imporre all'Asur di «valutare se ci sono le condizioni per il suicidio assistito». Ma l'Asur, nonostante la sentenza, è rimasta in silenzio alla nuova richiesta di una visita da parte di Mario e pure alla sua diffida, datata 12 luglio. E così Mario ha deciso di denunciare l'azienda sanitaria per omissione d'atti d'ufficio, contestando insomma la mancata verifica, da parte dell'azienda sanitaria, delle sue condizioni cliniche, per accertare, spiega, «se sono in possesso dei quattro requisiti richiesti dalla sentenza n.242/19 della Consulta». Ossia avere una malattia inguaribile, essere mantenuto in vita da sostegni vitali, essere nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e soffrire dolore fisico o psicologico. «Chiediamo al Governo e al Ministro Speranza di agire immediatamente per interrompere la flagranza di reato in corso e attuare un provvedimento di commissariamento della Regione Marche per attuare la visita medica che Mario attende ormai da un anno», spiegano l'esponente radicale Marco Cappato e l'avvocato Filomena Gallo, segretario dell'associazione Luca Coscioni. Mentre Mario, in una lettera aperta inviata anche al ministro della Salute Speranza, insiste nel chiedere «solo di essere libero di porre fine alle mie sofferenze e morire in Italia, nel mio paese, vicino a chi amo».

Una storia terribile, che si intreccia con la battaglia per il referendum sull'eutanasia legale. L'unico modo, secondo i radicali, in piena offensiva laica anche in agosto, per forzare la mano all'inerzia del Parlamento sul tema del fine vita.

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