La dittatura venezuelana che non dispiace a Kamala

Dopo la vittoria di Maduro

La dittatura venezuelana che non dispiace a Kamala
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Trent'anni dopo, o quasi. A mezzanotte di ieri a Caracas, quando era l'alba in Italia, il direttore del Consiglio Nazionale Elettorale venezuelano, ha incoronato ancora una volta Maduro come presidente della Repubblica bolivariana di Venezuela, con il 51,2 per cento dei voti.

Il candidato Edmundo Gonzalez si è fermato al 44,2 per cento. Dopo trent'anni dall'amnistia riconosciuta dall'allora presidente Caldera al colonnello dei paracadutisti Hugo Chavez che aveva tentato un golpe per conquistare il paese, il Venezuela segue il cammino intrapreso con la rivoluzione socialista chavista. E da questa parte dell'Oceano Atlantico, alcuni dei paesi alleati tirano un sospiro di sollievo.

Fino all'ultimo, sui social, si erano rincorse per tutta la giornata di domenica le voci di una vittoria di oltre il 60 per cento per il candidato dell'opposizione, contro il 30 per cento del presidente in carica. Difficile dire, in questo momento, se il paese cadrà in uno stato di agitazione o se manterrà la pace, parola d'ordine che ha caratterizzato tutta la campagna elettorale di Maduro. Per la terza volta confermato alla guida del Venezuela per i prossimi sei anni. Proprio come fu per Chavez.

«Il 29 di luglio, lunedì alle ore 12.27 dell'alba è un lunedì che dà la notizia del trionfo dell'indipendenza nazionale, della dignità del popolo venezuelano. Non poterono con l'aggressione, con l'embargo, e non poterono con il fascismo dell'ultradestra!» ha dichiarato Maduro subito dopo la conferma della sua rielezione di fronte Miraflores, la sede della presidenza, vestito dei colori a stelle e strisce della bandiera venezuelana.

Il Venezuela festeggia così il settantesimo compleanno del comandante Chavez, il padre della patria insieme a Simon Bolivar. «Pace, stabilità, rispetto della legge e giustizia a partire da oggi» ha proseguito Nicolas Maduro che ha mantenuto, da un giorno all'altro, lo stesso tono arrembante e sicuro con cui ha affrontato gli acompanantes, i delegati internazionali. Proprio sabato sera, di fronte a decine di loro ricordava quello che era successo a Parigi qualche settimana prima, quando la destra sembrava doversi affermare. La sinistra ha vinto invece anche qui, in questa nazione sempre più vicina al mondo BRICS, insieme a Cina, Brasile, India e Sud Africa. In contrapposizione sempre maggiore al mondo occidentale.

Un attacco hacker al Consiglio Nazionale elettorale, ha dichiarato Maduro, avrebbe impedito al popolo venezuelano di avere il risultato ufficiale già nella notte. «E noi sappiamo da che parte arriva» ha ammonito il presidente venezuelano, riferendosi agli Stati Uniti.

Nel pomeriggio di domenica Kamala Harris aveva postato su X l'invito al Venezuela a proseguire un cammino democratico, accettando il risultato elettorale, qualunque sarebbe stato. Per non perdere quel percorso di pace che assicura agli Stati Uniti la fornitura del petrolio venezuelano, così importante dopo l'inizio dell'aggressione di Putin all'Ucraina. E sui social, dopo la proclamazione del voto elettorale sono apparse denunce di frode e brogli elettorali da parte dei sostenitori di Edmundo Gonzalez. «Siamo il popolo di Cristo» è stata la risposta invece di Maduro al mondo, riunito intorno a lui fino all'alba di lunedì per ascoltare il messaggio da neopresidente rieletto. Lui, Nicolas Maduro, l'ex camionista che dopo trent'anni, ancora prosegue sulla strada del socialismo bolivariano, chavista e cristiano, come lui ama definirlo, pronto a portare il Venezuela nella BRICS, contro le destre dell'America Latina, a cominciare dall'argentino Milei.

Forte dell'appoggio dei suoi alleati storici di Nicaragua, Cuba e Bolivia, i primi a

congratularsi con lui per la sua rielezione. Prosegue il cammino il presidente venezuelano per i prossimi sei anni. Senza escludere di rimanere per altri trenta.

*Sociologo dei fenomeni politici e giuridici Università LUMSA.

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