Si sono svegliate: le femministe si sono svegliate. Dopo giorni di "bombardamenti" e domande sul loro attivisimo mancato, sono arrivati i primi segnali dal letargo improvviso. Laura Boldrini e Michela Murgia, infatti, dalle colonne de La Stampa hanno mostrato al mondo di essere (più o meno) presenti a se stesse condannando la violenza dei talebani. La prima con una intervista che va dalle accuse all'Occidente agli attacchi al centrodestra passando per i diritti negati alle donne, la seconda con un intervento talmente tanto arzigogolato da sembrare un centrifugato di tutto e di niente. Qualche esempio per rendere meglio l'idea. "[...]Non appena è partita la smobilitazione militare e la storiella dei liberatori occidentali si è rivelata per la panzana che era, in meno di due settimane lo scenario politico ha mostrato tutte le possibili sfumature dell'ipocrisia e del cinismo, tanto in Afghanistan quanto nei nostri parlamenti". "[...] Se è vero che la democrazia non si esporta, ma si testimonia, verrebbe da pensare che la testimonianza occidentale in Afghanistan debba essere stata veramente poca cosa se dopo dieci anni una parte non piccola della popolazione ha più voglia di dare credito ai talebani piuttosto che ai nostri governi". Ci fermiamo qui, non spoileriamo. Vi lasciamo il piacere di leggere il resto su La Stampa.
Torniamo a noi. Fa un po' insospettire che le due paladine dei diritti (delle donne) abbiano rotto il silenzio proprio e solo oggi. Dopo giorni - lo ricordiamo - di pressanti richieste e accuse da parte di chi ha notato la loro assenza dal campo di fuoco afghano. Ma come, Boldrini e Murgia spariscono proprio sul più "bello"? Quando c'è da battersi (seriamente) per la difesa delle donne prigioniere in Afghanistan? Provocatoriamente, due giorni fa, ci siamo domandati perché non si siano inginocchiate. Il mettersi in ginocchio - ovviamente - era una metafora di tutta una serie di aspettative che puntalmente sono state disattese. Quello che ci aveva colpiti era stato il loro silenzio. Per renderci conto meglio del buio cosmico nel quale vagavano le due, siamo andati a controllare i loro social (perché di dichiarazioni ufficiali non c'era traccia). Non che la vetrina virtuale contenga la verità assoluta, ma spesso e volentieri è utilizzata per fare i grandi proclami.
Partiamo da Laura Boldrini. Il 15 agosto scrive il primo tweet nel quale chiede che venga "riconosciuta la protezione alle persone perseguitate che fuggiranno. Glielo dobbiamo". Il 16 nulla. Il 17: "Il governo acceleri il piano di evacuazione dall'#Afghanistan e attivi una task force per l'accoglienza da parte dei Comuni". Il 18, 19, 20, 21 niente. Il 22 parla di Zaki. Per Facebook vale lo stesso. Eppure, l'ex presidente della Camera è sempre stata molto attenta e attiva nel condannare pubblicamente le ingiustizie. Perché in questa situazione drammatica ha preferito mantenere un low profile?
Michela Murgia. Il 15 agosto parla di ong. Il 16 non si sente e non si vede. Il 17 retweetta due reportage sull'Afghanistan della giornalista Francesca Mannocchi. Poi torna a parlare di ong. E qualche ora fa ha ricondiviso l'ultima intervista di Gino Strada a Presa diretta. Facebook è fermo a luglio. Come mai? Le donne afghane non meritano la stessa cura che la giornalista ha nello scrivere articoli pieni di asterischi e shewa per evitare di turbare le persone gender fluid?
Oggi, però, sono entrambe "resuscitate" e hanno rispedito al mittente tutte le accuse accumulate nell'ultima settimana. Casualità? Coincidenze? Di certo non sarebbe dispiaciuto leggere qualche condanna in più da parte di entrambe.
Anche se adesso è facile rispondere agli attacchi con il classico "le femministe sono da sempre accanto alle donne afghane". Talmente tanto facile (e banale) che nemmeno le loro kompagne ci credono più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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