Draghi in Aula, ma per fare cosa?

Fateci caso. Il comunicato del Quirinale del 14 luglio sembra stilato dalla Sibilla Cumana.

Draghi in Aula, ma per fare cosa?

Fateci caso. Il comunicato del Quirinale del 14 luglio sembra stilato dalla Sibilla Cumana. Di assodate ci sono tre cose. La prima, Mario Draghi ha rassegnato le dimissioni con procedura anomala. È andato una prima volta sul Colle per uno scambio di vedute che ha fatto emergere una disparità di opinioni tra i due, a dispetto della tardiva smentita del Quirinale. Poi Draghi ha convocato, come da prassi, il Cdm per informarlo che sarebbe tornato da Mattarella per dimettersi. E ha anticipato ai colleghi una gaffe? l'intendimento del presidente di respingere le dimissioni e di rinviarlo alle Camere. La seconda verità è che Mattarella non ha accolto le dimissioni. Così il governo è stato resuscitato ancor prima di tirare le cuoia. La terza è il rinvio alle Camere, che però si apre a due interpretazioni. Perché il comunicato del Quirinale è ambiguo. Il Presidente della Repubblica «ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica». L'arabo è più comprensibile. Ora, il capo dello Stato può rinviare il governo alle Camere al fine di parlamentarizzare come impose per la prima volta Sandro Pertini una crisi extraparlamentare. Apertasi cioè al di fuori e in sostanza contro il Parlamento. Non sembra questo il caso, anche se Stefano Ceccanti sostiene questa tesi perché Draghi si sarebbe dimesso a dispetto dell'ampia fiducia ottenuta al Senato. Ma in tal caso si dovrebbe certificare la crisi, mentre qui i due rami del Parlamento dovrebbero confermare la fiducia al governo, probabilmente con il voto favorevole anche dei Cinque stelle. Perché, come ha scritto il direttore di questo Giornale, la logica di Giuseppe Conte è di stampo cartesiano: «Minaccio sfracelli, ergo sum». A nessuno più di lui, che si ama e si contraccambia, piacciono da morire le luci della ribalta, sia al governo sia all'opposizione.

Ma il rinvio alle Camere, dicevamo, nelle intenzioni di Mattarella è volto ad appurare la conferma della fiducia. In tal caso Draghi va avanti, altrimenti si dimette e il capo dello Stato nominerà un governo tecnico minoritario per definizione che, battuto dalle Camere, spalancherà le porte allo scioglimento immediato del Parlamento. Tuttavia è poco plausibile che Draghi faccia le sue comunicazioni e poi tolga il disturbo. Perché sarebbe uno schiaffo al Quirinale e al Parlamento: un plateale venir meno al galateo istituzionale. E poi non si spiegherebbe perché abbia omesso di definire irrevocabili le sue dimissioni.

Mentre Draghi potrebbe reiterare le dimissioni dopo il dibattito parlamentare e prima del voto qualora i Cinque stelle si sfilassero dal governo, magari prendendo a pretesto un eventuale discorso fuor dai denti del presidente del Consiglio.

Insomma, può succedere ancora di tutto. Anche niente.

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