Ha un bel dire il governatore della banca centrale austriaca, Ewald Novotny, che «non bisognerebbe eccitarsi troppo» per la riunione di oggi della Bce. Parole al vento, spazzate via dall'aspettativa parossistica creatasi attorno all'evento clou dell'anno, quello del probabilissimo parto del quantitative easing in salsa europea. Ieri è infatti bastato un take di Bloomberg per vedere i mercati, fino a quel momento nel classico stallo da vigilia di importanti decisioni, ridestarsi di colpo, tornare a comprare e chiudere in rialzo (+1,64% Milano). Citando fonti vicine al dossier, l'agenzia ha rivelato che Mario Draghi è pronto a mettere sul piatto l'acquisto di titoli per 50 miliardi di euro al mese fino al 2016. Lo shopping non inizierebbe prima di marzo, ma in compenso varrebbe attorno ai 1.100 miliardi, la cifra indicata a suo tempo dal presidente dell'Eurotower come necessaria per riportare il bilancio ai livelli del 2012.
Un piano così congegnato piace ai mercati. Rientra infatti nelle opzioni da pollice alto perchè indica una scelta coraggiosa da parte dell'istituto di Francoforte, tale da rivelare un forte consenso sul Qe all'interno del consiglio. Il grafico qui sotto estremizza gli schieramenti fra i supporter di Draghi e quelli del capo della Bundesbank, Jens Weidmann, ma non è improbabile che le divisioni, alla fine, possano risultare meno nette. Nelle ultime settimane, infatti, l'ex governatore di Bankitalia ha cercato di trovare una mediazione con gli esponenti dell'ortodossia monetaria, contrari all'uso del bazooka. Dal cilindro della Bce potrebbe dunque non uscire il coniglio desiderato. Soprattutto se l'eventuale compromesso dovesse riguardare un aspetto assai delicato come la ripartizione del rischio sull'acquisto di titoli di Stato. Weidmann pretende, per esempio, che ogni banca nazionale acquisti solo debito del proprio Stato. «Il preludio allo sfascio dell'euro», dicono i pessimisti. Di sicuro, una soluzione che indicherebbe scarsa cooperazione.
Più auspicabile quella mutualizzazione del debito «molto ampia» suggerita nei giorni scorsi dalla numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. Ma i tedeschi, a cominciare dalla Cancelliera, Angela Merkel, che ieri ha tirato il freno dicendo che «il Qe non è stato ancora deciso», sarebbero d'accordo? Un'alternativa è la condivisione parziale dei rischi. In pratica, la Bce si accollerebbe solo una parte degli acquisti di bond, mentre la quota residua sarebbe a carico delle banche centrali nazionali. È un'altra ipotesi da non scartare, al pari di quella che prevede paletti di intervento pari al 25% del debito per ogni singolo Paese. Stimando il tutto, quindi, Francoforte avrebbe un potenziale di circa 2.000 miliardi, qualora si arrivasse alla soglia massima di debito monetizzabile. Una cifra di assoluto rispetto, anche se il segretario dell'Ocse, Angel Gurria, ha spiegato ieri di non credere «che Draghi metterà un tetto» agli acquisti, che «dovrebbero essere illimitati per alzare l'inflazione e rilanciare l'economia».
C'è poi chi, come gli analisti di Ig Markets, tiene anche conto della variabile Grecia, ovvero delle possibili influenze che sulla decisione del Qe potrebbero avere le elezioni greche, in agenda nel week end successivo al cruciale board della Bce. Draghi potrebbe insomma non comunicare l'ammontare totale dell'intervento e graduarlo di mese in mese.
E per non far sentire i greci esclusi dall'intervento, qualora si decidesse di attuarlo solo per i titoli di Stato con rating investment grade (cioè non inferiore a BBB-, quello dell'Italia), alle banche greche sarà fornita liquidità anche attraverso le operazioni di rifinanziamento tradizionali e straordinarie. Ancora ipotesi. Giuste o sbagliate? Per saperlo, manca poco. Oggi Draghi scopre le carte. Finalmente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.