"Draghi o urne". Il Pd si iscrive al "partito del voto"

Sovranisti e massimalisti di sinistra ci sperano, mentre Letta è spinto dalle bizze di Conte

"Draghi o urne". Il Pd si iscrive al "partito del voto"

L'ipotesi che il Movimento 5 Stelle abbandoni il governo presieduto da Mario Draghi può alimentare la nascita di un «partito del voto», ossia di un gruppo trasversale e composto da singoli o da blocchi correntizi che, per motivi diversi, preferirebbe a quel punto che i cittadini si esprimessero. La correzione in corsa della linea da parte di Enrico Letta ha fatto da apripista nel Pd: «...preciso, per evitare fraintendimenti, che noi rimaniamo alla decisione presa insieme nella Direzione Nazionale il 30 giugno; il governo Draghi è per noi l'ultimo della legislatura», ha scritto l'ex premier su Twitter. Ieri, invece, era balzata alle cronache una dichiarazione del segretario in cui veniva citato un Draghi bis. La traduzione politica del cambio di passo è semplice: la variabile per cui, a causa del M5S, si debba votare prima del previsto, non può essere esclusa. Nel caso in cui Conte uscisse dall'esecutivo, Letta convocherebbe i suoi per deliberare ma attorno al Nazareno è già chiara l'esistenza di questo «partito del voto».

L'ex ministro dell'Istruzione e tuttora senatrice Valeria Fedeli ha detto al Giornale: «Se escono dal governo significa che scelgono la rottura anche con noi, e quindi optano per portare il Paese al voto e non per rispondere alla necessità dell'Italia». L'onorevole Enza Bruno Bossio, pur sottolineando i passaggi formali che verrebbero predisposti, ha fatto presente di concordare con l'ex presidente del Consiglio: «Viste le condizioni mi pare inevitabile». È facile trovare «lettiani» che affermano «o Draghi o voto». «Questo per noi è l'ultimo governo possibile di questa legislatura», ha osservato Emanuele Fiano. «La mia posizione è la stessa del segretario. Questo è l'ultimo governo della legislatura», ha annotato, pur rivendicando la normalità del dibattito tra Draghi e Conte, l'ex ministro Francesco Boccia. Passiamo altrove.

Claudio Borghi, che siede a Montecitorio con la Lega, non si è nascosto: «Hanno votato tutti in Europa. Non si capisce cosa dovremmo avere noi di diverso», ci ha detto. Il parere di Fratelli d'Italia non è un mistero: «Non esiste alcuna possibilità al mondo che Fdi faccia da stampella al governo Draghi qualora il M5S uscisse dal governo. Così come di ipotetici Draghi bis. Anzi, la nostra posizione era che non ci sarebbe dovuto essere nemmeno questo governo», ha argomentato Luca Ciriani, capogruppo di Fdi al Senato. Un certo fermento elettorale c'è anche alla sinistra del Movimento 5 Stelle, con i «dibattistiani» a cui forse converrebbe che Conte rimanesse ancorato all'unità nazionale per un altro po'. Comunque sia, Nicola Fratoianni, di Sinistra italiana, è un altro che non ha celato le carte: «Io credo che si debba andare a votare, peraltro sono all'opposizione dall'inizio del governo Draghi ed è anche naturale quindi che dica questo», ha affermato ad Omnibus. Un partito del voto dilagante, dunque? Non proprio.

«Il governo Draghi e la legislatura devono andare avanti, anche nel caso in cui il M5S dovesse decidere di uscire, perché dobbiamo assumere scelte importanti per il Paese, a partire dalla legge di bilancio», ha tuonato Raffaella Paita, d'Italia Viva. I dimaiani sono per la «responsabilità» delle «forze politiche». Anche dalle voci raccolte dai «totiani» sembra provenire ferma contrarietà alle elezioni.

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