Draghi striglia l'Ue: "Resteremo da soli a difendere Kiev. Ora risposte rapide"

Discorso a Bruxelles: "Il tempo non è dalla nostra parte, non si può dire no a tutto"

Draghi striglia l'Ue: "Resteremo da soli a difendere Kiev. Ora risposte rapide"
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Sono tempi duri per le classi dirigenti europee. Come se già non bastassero le parole di Donald Trump e JD Vance, anche Mario Draghi, considerato un'istituzione a Bruxelles, non risparmia dure critiche nei confronti dell'Unione europea e delle scelte politiche compiute negli ultimi anni.

Intervenendo al Parlamento europeo sulle sfide della competitività dell'Ue, Draghi non ha usato giri di parole per dare una scossa alle istituzioni europee: «Non si può dire no a tutto, altrimenti bisogna ammettere che non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell'Ue». Secondo l'ex governatore della Bce al nuovo contesto globale venutosi a creare «la risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, con l'economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce. Deve essere commisurata all'entità delle sfide. E deve essere focalizzata sui settori che guideranno l'ulteriore crescita. Velocità, scala e intensità saranno essenziali».

Per rilanciare la competitività occorre «abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sull'equity» e, per far fronte alle sfide «è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge la ricerca, l'industria, il commercio e la finanza richiederà un grado di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo».

L'ex premier ha poi rilanciato l'ipotesi di debito comune europeo soffermandosi anche sulle cifre indicate nel suo piano: «Il dato dei 750-800 miliardi l'anno è stimato per difetto». Per soddisfare queste stime è necessario emettere titoli di debito «e questo debito comune deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni Paesi non dispongono di spazio fiscale sufficiente nemmeno per i propri obiettivi, non hanno alcuno spazio fiscale».

Uno dei principali motivi per cui l'Europa si trova a dover fronteggiare un deficit di competitività rispetto ad altri attori globali come gli Stati Uniti o la Cina è dovuto al prezzo dell'energia e all'eccessiva dipendenza energetica europea perciò: «Dobbiamo ridurre i prezzi dell'energia, questo è diventato imperativo non solo per le industrie tradizionali, ma anche per le tecnologie avanzate». Da qui il monito nei confronti dell'ambientalismo ideologico: «La decarbonizzazione non può significare la perdita di posti di lavoro verdi, perché le aziende dei Paesi con un maggiore sostegno statale possono conquistare quote di mercato».

Draghi si è poi concentrato sul tema della difesa lanciando un campanello d'allarme: «Se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa».

Infine l'ex premier ha messo in guardia da un ulteriore pericolo derivante dai dazi: «L'aumento dei dazi statunitensi sulla Cina reindirizzerà l'eccesso di capacità produttiva cinese in Europa, colpendo ulteriormente le imprese europee». Già nei giorni scorsi in un'editoriale sul Financial Times Draghi aveva strigliato l'Ue sostenendo che «è necessario un cambiamento radicale» poiché «l'Europa ha imposto con successo dazi su se stessa».

Intanto, da una bozza del «Clean Industrial Deal» europeo in arrivo il 26 febbraio, emerge come «l'Ue deve aumentare i suoi investimenti annuali in energia, industria e trasporti di circa 480 miliardi di euro rispetto al decennio precedente». Il tempo dell'austerity europeo sembra essere finito.

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