La versione digitale è già arrivata da qualche ora, ma a metà mattina a Palazzo Chigi parte la caccia alla copia cartacea, con tanto di esplorazione per le edicole del centro storico di Roma. L'obiettivo è il settimanale The Economist, che ieri ha dedicato a Mario Draghi un commento piuttosto severo. Il titolo è eloquente: «The Draghi delusion» (la delusione Draghi). Come pure significativo è il catenaccio: «Too much is being expected of the Italian prime minister» (ci si aspetta troppo dal premier italiano). Insomma, una presa di posizione molto critica nei confronti dell'ex presidente della Bce, nonostante il suo governo sia insediato da poco più di due mesi. Forse un po' poco per tirare conclusioni così tranchant, anche se - è cosa nota da tempo - quando si tratta dell'Italia The Economist non ci va quasi mai per il sottile. Un approccio che non è granché cambiato neanche dopo che - nel 2015 - John Elkann ne è diventato il principale azionista.
Una lettura che non deve aver messo di buon umore Draghi, che - scrive il settimanale economico londinese - alla Bce poteva «spingere una leva e far uscire il denaro», mentre «nel governo italiano può spingere una leva e scoprire che non è collegata a nulla». Insomma, l'ex governatore della Banca centrale europea ha sì «un profilo più alto dei suoi predecessori» a Palazzo Chigi, ma «in Italia la politica ha il complesso del salvatore», tanto che «un politico italiano ha paragonato» Draghi «a Gesù Cristo». Aspettative che, insiste il periodico economico e finanziario, sono «comprensibili» ma vanno «moderate». Un editoriale prudente, critico in alcuni passaggi. Ma, soprattutto, presentato con un titolo decisamente molto duro: «La delusione Draghi», appunto.
The Economist, dunque, è la prima testata straniera a sottrarsi al coro di consensi che hanno raccontato l'arrivo del governatore della Banca d'Italia a Palazzo Chigi. L'ultimo in ordine di tempo è stato il Financial Times che, solo due giorni fa, ha dedicato lo spazio più importante della prima pagina proprio all'Italia. Titolo su due righe: «Draghi prepara un piano da 221 miliardi di euro per ricostruire l'economia italiana devasta dalla recessione». Un tema su cui il premier è molto sensibile, tanto che la regia politica del Recovery plan resterà quasi certamente in capo a Palazzo Chigi, con un comitato che dovrebbe coinvolgere i ministri competenti. Coordinamento e attuazione del piano, però, dovrebbero essere demandate al ministero dell'Economia guidato da Daniele Franco. Con buona pace dei malumori della maggior parte dei ministri, che ieri mattina si sono ritrovati a leggere per la prima volta l'anticipazione dell'introduzione di Draghi al Pnrr sulle colonne de Il Foglio. Un'insofferenza trasversale, al di là dei colori politici. Che ha coinvolto praticamente tutti, anche se nessuno se l'è sentita di porre la questione al premier.
Pure il New York Times, solo pochi giorni fa, aveva affrontato le prospettive economiche italiane. Con grandi elogi verso Draghi. Definito dal quotidiano statunitense - fondato nel lontano 1851 - «un gigante d'Europa». D'altra parte, tutta la stampa internazionale ha preso le parti dell'ex banchiere centrale dal giorno in cui Sergio Mattarella lo ha convocato al Quirinale per l'incarico.
Dal Wall Street Journal, che lo ha definito «uno degli uomini di più alto profilo internazionale in Italia», all'autorevole quotidiano finanziario francese Les Echos, che ha parlato di Draghi come «la più importante riserva della Repubblica italiana», la «persona più adatta» per far uscire il nostro Paese dalla crisi e «completare la stesura del Recovery plan».
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