Il "draghicidio" firmato Conte. "Siamo scemi"

Al leader M5s sfugge di mano la battaglia per la visibilità e diventa l'accoltellatore dell'unità nazionale. Lo sconcerto dei suoi

Il "draghicidio" firmato Conte. "Siamo scemi"

Voleva una crisi di paglia e si è ritrovato nei panni dell'accoltellatore dell'unità nazionale. Giuseppe Conte - come da metafora di Enrico Letta - deve fare i conti con la sua immagine trasformata in quella di un Gavrilo Princip che a Sarajevo spara un colpo di pistola e da lì a poco scoppia la prima guerra mondiale. Intuendo l'antifona, il leader del M5s si fa beccare già in mattinata davanti alla sua casa romana. E da lì detta la sua linea, più fragile del cristallo. «Il M5S ha dato sostegno a questo governo sin dall'inizio con una votazione, con i pilastri della transizione ecologica e della giustizia sociale - tenta di giustificarsi Conte - se poi si crea una forzatura e un ricatto per cui norme contro la transizione ecologica entrano in un dl che non c'entra nulla, noi per nessuna ragione al mondo daremo i voti. Se qualcuno ha operato una forzatura si assuma la responsabilità della pagina scritta ieri». Insomma, l'avvocato di Volturara Appula, spiazzato dagli eventi, scarica la responsabilità sugli altri. Sul premier Mario Draghi in primis. Ma anche sugli altri partiti della maggioranza, che non hanno fermato prima la valanga che si stava per abbattere sul governo.

«Nessuno ci ha ascoltato, siamo stati costretti a non votare il Dl Aiuti», è la voce che arriva dalla truppa pentastellata, fronte contiano. «Oggi siamo stati degli scemi», taglia corto un deputato dei governisti in fibrillazione. Tra i parlamentari stellati, quando in Senato è in corso il dibattito sul voto, circola lo screenshot di un tweet della deputata Federica Dieni, vicepresidente del Copasir, assolutamente contraria allo strappo. «Patuanelli voti la fiducia o si dimetta», hashtag #coerenza. La pensano allo stesso modo almeno venti eletti del Movimento, che potrebbero anche passare a Insieme per il Futuro di Luigi Di Maio, soprattutto se ci fosse la possibilità di salvare la legislatura. Anche perché ora il «draghicida» Conte deve fare i conti con le proteste dei tantissimi parlamentari preoccupati per il mancato raggiungimento della pensione, che scatterà il 24 settembre prossimo.

Uno dei ministri grillini, il governista Federico D'Incà, prima dello showdown tenta l'ultima mediazione. Chiama Draghi per convincerlo a non porre la fiducia sul Dl Aiuti, così da far votare il provvedimento articolo per articolo. La telefonata dura meno di dieci minuti, il premier non ne vuole sapere. Anzi, lo stesso D'Incà, per un altro scherzo beffardo di questa crisi, da titolare dei Rapporti con il Parlamento si trova a leggere il testo in cui il governo annuncia la fiducia a Palazzo Madama. Quando ancora non si sono materializzate le dimissioni di Draghi, la capogruppo al Senato Mariolina Castellone butta la palla in tribuna: «Abbiamo scelto il non voto nel merito di un provvedimento. Invece c'è tutta la nostra disponibilità a dare la fiducia al governo». Riccardo Fraccaro esplicita il suo tormento: «Non sono sicuro che la crisi sia la cosa giusta». Nelle chat nessuno commenta, la truppa sbanda. Nel M5s non si esclude nemmeno un appoggio a un difficile Draghi-bis.

A Conte che tenta di scaricare sugli altri le responsabilità dello sfascio arriva un assist da Matteo Salvini, che invoca le urne e stoppa il Draghi bis. Proprio in quei minuti l'ex premier riunisce per l'ennesima volta il Consiglio Nazionale nella sede del M5s di Via di Campo Marzio. Nonostante le frasi contro lo strappo, pronunciate con i parlamentari durante la sua ultima visita a Roma, anche Beppe Grillo in giornata si accoda alla svolta di Conte. Il Garante sarebbe «in linea totale» con l'ex premier. «L'insofferenza toccata con mano nel blitz a Roma - spiega un volto noto del M5s - ha capito che non ne potevamo più. E anche la base: Grillo ha fiuto oltre ad avere un occhio attento sui commenti sui social.

Ha capito che la base è insofferente né più né meno di noi parlamentari». E ancora: «A Roma non ho visto entusiasmo, non c'era più, dobbiamo ritrovarlo, altrimenti il Movimento è fottuto», il ragionamento fatto dal fondatore ad alcuni fedelissimi e riportato dall'Adnkronos.

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