Un'altra bugia inverosimile, tra le tante raccontate dai russi e dai loro alleati in questa guerra feroce all'Ucraina, è caduta come una pera dall'albero. Già di suo, era insostenibile che l'armata di Putin non stesse utilizzando da diverse settimane a questa parte, i droni Shahed e Mojaher fabbricati in Iran: sarebbero bastati a documentarlo i codici rinvenuti sui rottami di quelli abbattuti dalla contraerea ucraina. Ma adesso saltano fuori le prove di questo e di altro. Proprio nelle stesse ore in cui il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov sosteneva di «non avere informazioni» sull'impiego in Ucraina di droni iraniani, erano fonti diplomatiche dello stesso Iran a confermare l'esistenza di un'intesa tra Mosca e Teheran per la fornitura non solo di droni, ma anche di missili.
L'accordo, hanno spiegato all'agenzia Reuters due diplomatici e due alti funzionari della Repubblica Islamica, è stato stretto lo scorso 6 ottobre a Mosca con un'apposita missione cui hanno partecipato il primo vicepresidente iraniano Mohamad Mokhber, due alti funzionari delle Guardie rivoluzionarie e uno del Consiglio supremo di sicurezza nazionale di Teheran. Queste dichiarazioni sono state rilasciate con l'intenzione goffa, visti gli stretti legami anche strategici tra Russia ed Iran di negare un intenzionale sostegno di Teheran a Mosca in questa guerra. «I russi ci hanno chiesto altri droni e quei missili balistici iraniani di precisione avanzata, in particolare dei tipi Fateh e Zolfaghar ha dichiarato uno dei diplomatici - Ma dove vengano usati non è un problema del venditore».
Siccome però è chiarissimo a tutti dove le armi iraniane vengano impiegate, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha proposto al presidente Zelensky di rompere le relazioni bilaterali con Teheran. La Nato promette di fornire nei prossimi giorni sistemi di difesa contro i droni iraniani, ma al tempo stesso Kuleba si rivolge al governo di Israele «per una fornitura urgente» di simili sistemi avanzati e «per l'avvio di una collaborazione ad alto livello finalizzata all'acquisizione di tecnologie adeguate». Kuleba incalza Israele, ma incontra reazioni prudenti, che si spiegano con la capacità russa di ricattare Gerusalemme sia in tema di emigrazione degli ebrei russi sia sulla gestione dei rapporti sul terreno in Siria. Ecco dunque che fonti dell'esecutivo israeliano precisano che il governo non sarebbe coinvolto nelle «posizioni personali» del ministro Nachman Shai, che nei giorni scorsi aveva twittato in favore di una reazione di sostegno israeliano a Kiev dopo l'uso da parte russa di droni iraniani in Ucraina. Ne erano seguite aperte minacce del superfalco del Cremlino Dmitry Medvedev a Israele, che peraltro già fornisce a Kiev intelligence in merito a quei droni e che se dovesse passare a un livello superiore di collaborazione di certo eviterebbe conferme ufficiali.
Un problema di relazioni con Israele Kiev ce l'ha in ogni caso e lo testimonia la presenza in questi giorni in un hotel di lusso sul lungomare di Tel Aviv denunciata dalla cofondatrice dell'Ong Israeli Friends for Ukraine, Anna Zharova nientemeno che della moglie del portavoce di Putin Tatiana Navka, detentrice di aziende e asset nella Crimea illegalmente strappata dalla Russia all'Ucraina.
E mentre Washington afferma che l'uso da parte russa di droni iraniani dimostra l'efficacia delle sanzioni occidentali e gravi carenze di missili dovute a un ritmo d'impiego insostenibile per Mosca, sul fronte ucraino, invece, l'Ue sta considerando se subentrare
al tycoon americano Elon Musk nel pagamento dei costi (20 milioni di dollari al mese) dei suoi servizi satellitari Starlink, cruciali per consentire all'Ucraina di restare connessa online nonostante le devastazioni russe.
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