Altro che diritto, siamo il Paese del rovescio

Altro che diritto, siamo il Paese del rovescio

Se si ripercorrono le cronache degli ultimi ottant'anni l'ho fatto in questi giorni - si scopre che lo stato della giustizia, da noi, è sempre lo stesso: presenza costante di un pregiudizio ideologico e sociale che influenza magistrati e sentenze, incertezza e sostituzione del diritto con variabili politiche e sociali. Eravamo la patria del diritto e siamo diventati, col Dopoguerra, la patria del rovescio; tutte le proposte di riforma del sistema giudiziario sono rimaste nell'ambito delle buone intenzioni e non se ne è fatto nulla.

Ma il problema resta, figlio della cultura che aveva diviso il mondo fra chi stava da una parte (il mondo democratico liberale occidentale) e chi stava dall'altra (il comunismo e l'Unione Sovietica), e non scendeva mai sul terreno empirico per stabilire se ciò che era emerso nei tribunali, piuttosto che in Parlamento, fosse rispetto dello Stato di diritto o, non piuttosto, ossequio ideologico ad un parte politica. I danni fatti dalla cultura di sinistra sono pressoché irreparabili e non si capisce ancora come vi si possa porre rimedio. Personalmente, ritengo un errore applicare acriticamente il diritto positivo, che è, poi, una forma di giustizia che non tiene conto dell'evoluzione della cultura giuridica da cui dovrebbe discendere.

Il positivismo giuridico è figlio di una adesione alla realtà storica che non tiene conto della evoluzione della cultura giuridica, un modo meccanicistico di fare giustizia, non di attenersi alla cultura giuridica che dovrebbe sempre presiedere ogni decisione giudiziaria. Lo dico con cognizione di causa, e molto rammarico, perché me ne sono occupato senza registrare cambiamenti nello stato della giustizia nel nostro Paese. Prevale ancora il pregiudizio ideologico e sociale sulla certezza del diritto, che non è attenuazione delle rigidità del positivismo giuridico, bensì pedissequa applicazione di regole al di fuori della realtà, in nome di una dogmatica applicazione di una disciplina che evolve sulla base della cultura giuridica nel corso del tempo.

Poiché se ne parla da anni, ritengo utile sollecitare un ripensamento sullo stato di salute della nostra giustizia e su una sua riforma. Si sono succeduti molti governi, ma nessuno ha messo mano a una riforma che imponga la certezza del diritto rispetto alle interpretazioni fantasiose, ideologiche, sociali e positivistiche, che ne stravolgono l'essenza. Questo governo pur nato con l'intenzione di rottamare il passato dovrebbe rifletterci e porvi seriamente, e concretamente, mano, promuovendo una vera riforma della giustizia che ricollochi il Paese fra quelli civili del mondo a cui apparteniamo.

Mi rendo conto che non sarebbe un problema da poco, ma ritengo anche che esso sia oltremodo urgente, quanto meno a giudicare dalle molte insufficienze e dai ritardi e dalle difficoltà nel pervenire al giudizio nel nostro sistema giudiziario.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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