Accomunati dallo stessa sorte. Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede hanno fatto così l’apparizione sulla scena: entrambi sconosciuti, neofiti della politica, si sono ritrovati catapultati in ruoli di comando. E che ruoli. Chi prima, chi dopo, hanno seguito un percorso comune, sostenendosi a vicenda anche nei momenti più delicati. Se fosse un libro, sarebbe una trama strappalacrime. Ma essendoci di mezzo le vicende politiche del Paese, il legame tra i due è formato più da scalate al successo fortuite, trame sventate dagli alleati e infine la capitolazione a braccetto. I destini incrociati hanno infatti trascinato giù il presidente del Consiglio dimissionario e il ministro della Giustizia. Insieme, come era iniziato. Perché Bonafede è stato difeso a spada tratta, anche al prezzo di finire nel baratro. Un debito di riconoscenza pagato a carissimo prezzo, perché il sacrificio al Senato del Guardasigilli avrebbe permesso a Conte di tirare a campare per qualche altra settimana. Nell’attesa di trovare qualche responsabile, ammesso che si fosse palesato. Ma ha preferito di tenere saldo il rapporto con l’uomo che lo ha portato da una cattedra universitaria a Palazzo Chigi. Senza passare per alcuna esperienza politica, né tantomeno amministrativa. Ma mercoledì ci sarà il voto sulla relazione del Guardasigilli. Come finirà?
La storia di Bonafede e Conte
La storia del duo inizia prima delle elezioni del 2018: Bonafede è infatti allievo, all’Università di Firenze, del professor Conte, con cui riesce a ottenere una breve collaborazione. La stima è reciproca e il legame si rafforza. Nel 2013 Bonafede diventa deputato, sfruttando l’onda grillina di quel voto. Pare un’altra era geologica, quando il M5S sbarca in Aula annunciando di voler aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Il neo-parlamentare capitalizza al meglio la manciata di voti alle parlamentarie pentastellate, la votazione online tra gli iscritti per indicare le candidature: entra alla Camera e si guadagna i galloni di fedelissimo del rampante Luigi Di Maio, destinato alla leadership. A quel punto Bonafede propone a nome del Movimento 5 Stelle - cui spetta l’indicazione in Parlamento - Conte come componente Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. È l’ulteriore consolidamento di un sodalizio che porta a sviluppi impensabili appena cinque anno dopo. Quando, poi, il M5s presenta la squadra di governo che avrebbe proposto in caso di vittoria, Conte viene designato come papabile ministro della Funzione pubblica. In quella fase, per l’opinione pubblica, è solo uno degli illustri sconosciuti, dal profilo tecnico, che il Movimento seleziona per accreditarsi come un soggetto politico supportato da professionalità esterne.
Conte premier suggerito da Bonafede
Il passo in avanti decisivo matura all’improvviso, durante le trattative con la Lega per la formazione del governo gialloverde: al tavolo, mentre Luigi Di Maio e Matteo Salvini valutano la rosa dei nomi per siglare l’accordo, Bonafede tira fuori il coniglio dal cilindro. Si chiama Giuseppe Conte, che viene benedetto dai due leader. E così debutta in politica in grande stile, approdando a Palazzo Chigi. Da quel momento il presidente del Consiglio fa di tutto per difendere il suo ex allievo, spedito al Ministero di via Arenula: sulla riforma della Giustizia, oggetto della contesa tra gli alleati, Conte non abbandona mai Bonafede. E addirittura, con il cambio di governo, l’inquilino di Palazzo Chigi pretende, con la sponda del Movimento 5 Stelle, la riconferma del Guardasigilli, sfidando i veti del Partito democratico, che insiste sulla discontinuità. Niente da fare: il sodalizio Conte&Bonafede resiste.
Il resto è storia più recente: a inizio 2020 Bonafede finisce nel mirino di Italia viva. Il ministro viene etichettato dai renziani come Fofò dj (richiamando il nomignolo del passato da disc-jockey), ma soprattutto viene messo “sotto accusa”, con tanto di mozione di sfiducia sul tema della prescrizione. Conte prova a mediare, inventa qualche lodo, ma si schiera al fianco del Guardasigilli. Senza dubbi e al costo di immolarsi per salvarlo.
E, dopo un anno di pandemia, si immola davvero: pur di evitare la bocciatura del ministro al Senato, dove la relazione non sarebbe passata, il presidente del Consiglio preferisce rassegnare le dimissioni. Finendo, almeno per il momento, la sua esperienza a Palazzo Chigi. Una chiusura causata proprio dell’uomo che gli ha permesso di governare l’Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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