Tra i tanti diritti che siamo stati costretti a comprimere in nome del virus c'è anche quello alla trasparenza e sindacabilità della Pubblica amministrazione. In parole povere: la macchina dello Stato, messa sotto pressione dal lockdown, ha limitato la possibilità del cittadino di attivare procedure amministrative che avrebbero aggiunto carichi di lavoro.
Mossa comprensibile, ma anche molto comoda per un governo che sta gestendo il Paese proprio a colpi di atti amministrativi. «I Tar, come i tribunali ordinari - spiega l'avvocato Fabio Bifulco (in foto), consigliere della Società lombarda avvocati amministrativisti- sono chiusi fino al 31 luglio. Ma mentre per penale e civile si tengono udienze in videoconferenza, il decreto del 17 marzo ha eliminato questa possibilità per i ricorsi amministrativi». E con il successivo decreto del 30 aprile le cause possono essere discusse solo se entrambe le parti sono d'accordo. In caso contrario, è il giudice che decide se limitarsi ad accogliere memorie scritte. Non è una questione di mezzi a disposizione: la giustizia amministrativa è la più ricca, visto l'ammontare del contributo chiesto al cittadino. «Il punto - aggiunge Bifulco - è che quasi sempre la controparte è una pubblica amministrazione, dai ministeri ai comuni, cui il decreto dello scorso 30 aprile dà il potere di sottrarre al cittadino una possibilità di difesa». E il giudice, specialmente in tempi di Covid-19 e appelli a non disturbare il manovratore, rischia di essere particolarmente sensibile alle esigenze della pubblica amministrazione.
Qualche segno c'è. Nella prima fase dell'epidemia, il governo ha impugnato un'ordinanza della Regione Marche perché più restrittiva delle proprie e il giudice ha concesso la sospensiva dell'atto regionale nonostante ci fossero in ballo questioni di salute. Più di recente, il Consiglio di Stato ha bocciato il ricordo di un cittadino contro un'ordinanza del governo per il motivo opposto: le questioni di salute sono prioritarie rispetto al merito del ricorso.
Non basta: il governo ha anche sospeso il Foia, la legge renziana sulla trasparenza, cioè la norma che obbliga la Pa a concedere al cittadino che ne fa richiesta l'accesso civico ai propri atti. Anche in questo caso, c'è una ragione per questo taglio alla trasparenza: l'accesso civico può richiedere un notevole sforzo agli uffici già sotto pressione per l'emergenza.
«Indubbiamente -commenta Alfonso Celotto, amministrativista ed esperto di diritto costituzionale- c'è una compressione della difesa e una diminuzione, da non prendere alla leggera, della trasparenza della pubblica amministrazione. Per la quale vale sempre il principio espresso da Filippo Turati già nel 1908: dev'essere una casa di vetro».
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