Dopo di lui, il diluvio. Anzi peggio: il caos è già realtà in Francia. E lui, Emmanuel Macron, assiste come un burattinaio senza rimorso all'inesorabile declino di un Paese sempre più arrabbiato e sgomento. Il secondo mandato del presidente che fu portato in trionfo come il più giovane della storia di Francia e il più promettente per l'Europa sarà per sempre segnato dalle macerie che Macron sta accumulando attorno a sé. Una catastrofe che ha avuto il suo apice negli ultimi sei mesi, quando con le Europee di giugno, il presidente è stato schiaffeggiato da un sistema proporzionale che ha fotografato la classifica dei partiti di Francia, relegando la coalizione che lo sosteneva al secondo posto, superato e doppiato dal Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Con una mossa di stizza e sfida, il capo dello Stato ha deciso di chiamare il Paese a elezioni anticipate, per poi sbarrare la strada del governo all'ultradestra vincitrice del primo turno. Il fronte repubblicano ha unito amici e nemici contro lo spauracchio comune: la destra «estrema». Ma ora, alla prova di governo e dei conti pubblici, la decisione di mettere in piedi quel fronte sta facendo perdere tutti, lasciando la Francia in balia di un esecutivo di minoranza sotto ricatto di quegli estremisti di destra e sinistra che voleva tenere lontani dalla stanza dei bottoni e di fatto in mano a un primo ministro, Michel Barnier, che è ormai un morto che cammina.
Mentre Macron calcava i palcoscenici internazionali per ritagliarsi il ruolo di grande leader d'Europa, la sua Francia si è avviata verso un declino sociale, economico e politico senza precedenti. I gilet gialli a gridare l'esasperazione delle aree rurale e della provincia, affogate dall'aumento dei prezzi del carburante e dalle promesse verdi della presidenza. I casseur a devastare strade e simboli e a infiammare per settimane la protesta di un popolo sempre più arrabbiato, che male ha digerito la sua riforma delle pensioni.
Non sono state solo sconfitte, questo è evidente. La Francia si è unita al suo presidente durante gli attentati terroristici e un pezzo del Paese gli riconosce ancora il ruolo di argine alla deriva estremista. Ma quella di Macron sembra ormai una battaglia contro i mulini a vento. Il presidente che ha quasi seppellito centrodestra e centrosinistra, relegando socialisti e neogollisti a percentuali imbarazzanti, è stato il leader che ha spalancato le porte all'ultradroite e all'ultragauche, sempre più forti e sempre più agguerrite ormai, unite a chiederne l'uscita di scena anticipata. Puntano all'esecutivo per il dopo-Barnier e all'Eliseo per il post-Macron, che dovrebbe arrivare nel 2027, ma chissà. Lui continuerà a fare di tutto per resistere, per farsi grande regista occulto di una nuova via parlamentare e di governo. Ma la Storia bussa alle porte stavolta. E il giudizio appare impietoso per il presidente dalle grandi promesse. Il macronismo ha fallito, ha diviso più che unire. La Francia è ormai «la malata d'Europa».
Il debito pubblico ha superato la soglia simbolica del 110% del Pil e dei 3mila miliardi. Ma è soprattutto l'umore dei francesi a segnare il declino del presidente e di un intero Paese fiaccato da anni di carovita e promesse mancate. Comunque vada, la Francia guarda già oltre.
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