Eni e l'autolesionismo della nostra magistratura

È un paradosso tutto italiano e va in scena nelle aule del Tribunale di Milano

Eni e l'autolesionismo della nostra magistratura

È un paradosso tutto italiano e va in scena nelle aule del Tribunale di Milano. La richiesta di condanna a 8 anni dell'ad di Eni Claudio Descalzi per le presunte tangenti pagate da Eni e Shell in Nigeria risponde sicuramente al desiderio di giustizia del magistrato inquirente, ma è anche un'icona dell'autolesionismo nazionale. A beneficiare di quella giustizia non sarebbero l'Italia e i suoi cittadini, ma nazioni e compagnie petrolifere che considerano l'Eni un temibile concorrente e l'Italia un immeritato protagonista del settore energetico. In quel settore Descalzi, come il suo predecessore Paolo Scaroni indagato nella stessa vicenda, è un protagonista e un alfiere dei successi dell'Eni. Scaroni in Libia ci salvò quando, caduto Gheddafi , sembravamo condannati a cedere gas e petrolio a Qatar e Francia. Descalzi, grazie alla sua esperienza tecnica assicura all'azienda un ruolo di eccellenza nella ricerca e nella diversificazione geografica ed ha all'attivo la scoperta del maxi giacimento egiziano Zohr. Questi meriti travalicano il campo energetico ed economico. Oltre a contribuire in maniera significativa al nostro disgraziato Pil i traguardi dell'Eni conferiscono all'Italia uno spessore e una visibilità internazionale assai superiori a quelli, assai più modesti, garantitegli invece dall'attuale classe politica. Non a caso molti insinuano che la nostra politica estera venga decisa non soltanto a Roma, ma anche a San Donato Milanese. Insinuazioni fattesi più insistenti da quando alla Farnesina c'è Luigi Di Maio. Ma altre voci sussurrano che l'arrivo degli amici dei 5 Stelle nel CdA Eni, patteggiato in cambio della riconferma dell'odiato Descalzi, garantiscano nuove fonti disposte ad avvalorare, non si sa se in buona fede, le tesi accusatorie destinate a togliere di mezzo l'attuale Ad. Sia come sia varrà la pena ricordare che le inchieste sulla stessa vicenda sono già state archiviate mesi fa sia dai giudici di Londra, sia dalla dalla Sec, il rigoroso ente di vigilanza della borsa Usa. Anche perché condannare un amministratore per un presunta tangente pagata in un paese che occupa il 146mo posto nello sprofondo della corruzione internazionale rappresenta un paradosso giuridico ed economico. Un paradosso che cozza contro gli interessi nazionali.

Un paradosso che rende assai arduo comprendere se il vero contesto criminale si annidi ai vertici della nostra compagnia petrolifera o nel cuore di paesi in cui è indispensabile operare per garantire al nostro paese le forniture di petrolio e gas.

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