Da un lato Recep Tayyip Erdogan annuncia un'operazione di terra in Siria, la terza dal 2016, «per distruggere i terroristi legati al Pkk con carri armati e soldati», dall'altro il Dipartimento di Stato americano stigmatizza queste azioni che destabilizzano la Siria e violano la sovranità dell'Irak. Ai bombardamenti lanciati dall'esercito turco nelle prime ore di domenica mattina sta seguendo una sollevazione geopolitica bipartisan, con Mosca che segue Washington nei richiami ad Ankara, non fosse altro perché la nuova escalation in Siria cade nel momento peggiore. Le forti tensioni nelle aree a cavallo tra Mediterraneo orientale, Medio Oriente caucasico e costone balcanico (Serbia-Kosovo) non si placano, contribuendo a creare un clima complicatissimo.
Da due giorni forti esplosioni sono state udite a Latakia e nelle città di Hama e Homs, con gli attacchi che hanno colpito obiettivi concentrati su Idlib vicino al confine turco e su alcune aree non controllate da Damasco: la motivazione ufficiale è che lì si anniderebbero gruppi islamisti della linea più dura. Ma gli attacchi non sarebbero stati precisi, colpendo soprattutto civili. La tesi di Ankara è che l'azione altro non è se non una rappresaglia dopo l'attacco terroristico del 13 novembre scorso nel cuore di Istanbul, di cui le autorità turche si sono affrettate ad attribuire la paternità al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Ma secondo i curdi siriani (Ypg) l'attentato di Istanbul è stato organizzato dalle stesse autorità turche, sulla scia del golpe farlocco di sei anni fa, per cui Erdogan accusò il predicatore confinato negli Usa, Fetullah Gulen.
«Abbiamo dato la nostra risposta al vile attacco che è costato la vita a sei innocenti radendo al suolo gli obiettivi terroristici nel Nord dell'Irak e della Siria», ha detto il presidente durante una cerimonia pubblica ad Artvin, annunciando un'operazione di terra in Siria contro l'Ypg, con l'obiettivo non più velato di aprire un varco che colleghi Jarablus controllato dai turchi con la regione di Tel Abyad. Attaccata con droni anche una base nel Nord-Est della Siria.
L'operazione è stata denominata Claw-Sword e segue la strategia erdoganiana di avvicinamento alle elezioni presidenziali di giugno, quando il Sultano cercherà una conferma nelle urne nonostante un'inflazione all'80% e una condizione di generale indebolimento nonostante l'asse con Mosca sul grano e il continuo harakiri con Grecia e Nato. La mossa in Siria segue quella meno roboante, ma altrettanto inquietante, nell'Egeo dove l'esigenza turca di non restare fuori dalle nuove rotte del gas ha portato Erdogan sia a cementare l'alleanza marittima con la Libia, sia a proseguire nella corsa al riarmo per stare al passo di una Grecia rifornita da Usa e Francia. Atene dopo i caccia Rafale francesi e gli elicotteri Kiowa americani, è in attesa dei Black Hawk e in futuro anche di due F35: al contempo si sta dotando di piccoli droni per rintuzzare i motoscafi senza pilota che Ankara a messo a punto e già utilizza tanto nel Mar Nero quanto nel Mediterraneo orientale. Per tutta risposta il governo turco dopo il successo del drone Bayraktar TB2, prova a trasferire quella tecnologia su di un caccia vero e proprio pilotato da remoto, il Kizilelma.
Nel mentre, anche la Russia ha chiesto alla Turchia di esercitare «moderazione» e ha messo in guardia contro la destabilizzazione della Siria: «Comprendiamo e rispettiamo le preoccupazioni della Turchia riguardo
alla propria sicurezza. Riteniamo che questo sia un diritto legale della Turchia», ha commentato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, aggiungendo che potrebbe fare da boomerang e complicare ulteriormente la situazione.
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