Il leader più europeista d'Europa: Emmanuel Macron. Contro il leader che ha traghettato il suo Paese fuori dall'Unione europea: Boris Johnson. L'un contro l'altro armati letteralmente, di navi da guerra per difendere l'interesse nazionale, certo, ma anche il proprio tornaconto politico. Il duello post Brexit sulla pesca tra Francia e Regno Unito non è solo una questione di interessi economici (molti), ma è anche e inevitabilmente un'occasione imperdibile, per entrambi i leader, di portare acqua al proprio mulino. Sarà un caso che la notte prima di mettere la scheda nell'urna, Boris abbia deciso di dare l'ordine a due navi della Marina Militare di dirigersi verso le Isole del Canale, sulla Manica? Davvero sarà stata una coincidenza? Più probabile che Johnson abbia pensato fosse il momento perfetto per solleticare il rigurgito nazionalista del dopo-Brexit e passare all'incasso immediato alle urne, quasi pregustando un suo momento Falkland. Ieri nel Regno Unito, mentre si consumava il braccio di ferro tra Parigi e Londra, 48 milioni di britannici votavano alle elezioni amministrative considerate un importante test politico per il premier conservatore, il primo dal suo trionfo nel 2019 e dopo l'uscita di Londra dalla Ue. Di mezzo, tra l'altro, nella partita elettorale, c'è il futuro della Scozia, solleticata dalla pazza idea dell'indipendenza anche perché contraria alla Brexit che sta mettendo in crisi i suoi pescatori, sommersi dalla burocrazia e dai nuovi controlli sulle esportazioni. L'accordo commerciale di libero scambio raggiunto fra Londra e Bruxelles non ha, in effetti, gli stessi vantaggi e la stessa facilità di scambi del mercato unico europeo. La lite sulla pesca deve essere dunque apparsa a Johnson come l'occasione ghiotta per rinfrescare agli elettori la memoria dell'orgoglio britannico ritrovato, del nazionalismo vincente ora più che mai, mentre il Regno Unito trionfa nella trincea del Covid grazie ai suoi traguardi scientifici e all'impeccabile macchina organizzativa. Un'occasione perfetta, la lite con la Francia, anche per diradare le nubi che si sono concentrate sulla sua testa dopo le rivelazioni perfide dell'ex braccio destro Dominic Cummings, con le notizie sulla lussuosa ristrutturazione dell'appartamento di Downing Street, che confermerebbero i sospetti di un primo ministro viziato e bugiardo, se non addirittura fuorilegge, visto che è stata aperta un'inchiesta per accertare eventuali reati.
Dall'altra parte della Manica, agguerrito stratega quanto Boris, c'è il presidente francese Macron. Sempre più vicino all'emancipazione dall'ingombrante figura della cancelliera Angela Merkel, che a settembre finirà il mandato in Germania e lascerà per sempre la politica, Macron da tempo spera di prendere in mano lo scettro di nuovo re d'Europa, seppur incalzato dall'arrivo del nostro Mario Draghi. Con lo scontro sulla pesca, il leader francese può tenere finalmente i piedi in due scarpe. Da una parte tornare a sventolare la bandiera dell'europeismo contro gli inglesi isolazionisti, facendosi tra l'altro paladino degli interessi di altri Paesi europei. Un quarto del bottino della pesca francese, in termini di volume (circa il 20% in valore), proviene dalle acque britanniche. Una dipendenza che è ancora più forte per Belgio (50%), Irlanda (35%), Danimarca (30%) e Paesi Bassi (28%) e riguarda anche, seppur in maniera minore, Germania, Svezia e Spagna. La Francia di Macron fa scudo agli interessi europei.
Ma prima di tutto - ed ecco il messaggio interno - protegge quelli francesi. Per ricordare ai suoi concittadini ed elettori, sempre più attirati dal richiamo dell'ultradestra di Marine Le Pen, che nazionalista sa e può esserlo anche lui.
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