
«Restituiteci i nostri segreti», dice Eni ai magistrati di Milano. All'interno dell'inchiesta su Equalize, riesplosa dopo che la Procura ha reso noti i verbali di Carmine Gallo (morto il 9 marzo agli arresti domiciliari) e Samuele Calamucci, si consuma uno scontro tra il colosso di Stato e gli inquirenti. Che stanno scavando in profondità sulle commesse affidate dall'azienda a Equalize, e che hanno messo sotto indagine il general counsel di Eni Sergio Speroni, sequestrandogli telefono e computer.
Ora i dispositivi sono stati restituiti a Speroni. Ma Eni accusa i pm e i carabinieri del Ros di averne trattenuto copia integrale. Anziché fare una ricerca per parole chiave nella memoria, gli investigatori l'hanno duplicata per intero. Lì ci sono gli incarichi a Equalize e i messaggi con Gallo. Ma c'è soprattutto, visto il ruolo di Speroni, una quantità sterminata di materiale sensibile sulle attività di Eni in Italia e all'estero. Materiale che se divulgato rischierebbe di arrecare danni incalcolabili all'azienda.
Sia Calamucci che Gallo parlano con dovizia di dettagli dei rapporti con Eni. Dicono che i report che Equalize, riccamente retribuita (377mila euro), forniva al gruppo erano in realtà farina del sacco dello studio legale Dentons, la law firm planetaria che assiste Eni da anni, e che aveva esigenza di dissimulare la provenienza del materiale. Calamucci fa i nomi di tre avvocati dello studio Dentons che sarebbero stati al corrente dei metodi illegali di Equalize. I tre reagiscono annunciando una denuncia per calunnia.
Gli incarichi da Eni a Equalize erano più di uno. Il principale ruotava intorno alla figura di Francesco Mazzagatti, imprenditore calabrese legato ai due «pentiti» delle indagini sulle presunte tangenti Eni, Pietro Amara e Vincenzo Armanna: che Eni sospettava di avere contatti con la 'ndrangheta, e per questo si risolse a un super esperto come Gallo. In una intercettazione Calamucci sembra vantarsi di avere a che fare («io posso vincere il premio Oscar quando mi metto a fare queste cose») anche con il dossier anonimo su Massimo Mantovani, allora capo dell'ufficio legale di Eni, fatto trovare sullo zerbino di casa di Speroni il 5 gennaio 2020. Ma dalle analisi dei cellulari si deduce che in quella data i rapporti tra Eni e Equalize erano ancora di là da venire.
Di fatto, questo filone dell'inchiesta Equalize si incrocia a doppio filo con i veleni che hanno attraversato la Procura di Milano intorno al caso Eni, e che hanno portato sotto processo sue figure storiche come Piercamillo Davigo e Fabio De Pasquale. Non è un caso che negli appunti sequestrati sul telefono di Enrico Pazzali, azionista di maggioranza di Equalize, ci siano anche atti del processo a Brescia nei confronti di Davigo. Negli interrogatori di Gallo ci sarebbero anche passaggi sui rapporti tra figure di spicco della Procura milanese e avvocati di Dentons e di Eni.
Ma nei rapporti tra Eni e Equalize, e probabilmente nella memoria dei telefoni di Speroni, c'è anche dell'altro. Oltre a quello sui contatti tra Amara e Mazzagatti Gallo avrebbe ricevuto dal gruppo diversi altri incarichi, tra cui uno relativo alla vicenda della nave White Moon, arrivata nel 2019 alla raffineria di Milazzo, carica ufficialmente di petrolio iracheno, ma che in realtà trasportava greggio di provenienza iraniana, e pertanto sottoposto a embargo internazionale.
Anche lì c'era di mezzo Mazzagatti: che Eni denuncia per truffa, e per il quale l'anno scorso la Procura secondo la Reuters chiede il rinvio a giudizio. Ma i retroscena della storia sono ben lontani dall'essere chiariti.
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