«Ehi Ue, sveglia. Ve lo ridico: se tentate di presentare la nostra operazione come un'invasione, apriremo le porte e vi invieremo 3,6 milioni di migranti». Il ricatto del presidente turco Recip Tayyp Erdogan, confermato ieri davanti al Parlamento di Ankara, è tanto esplicito quanto spregiudicato. E fa capire come la decisione d'invadere una fetta di Siria lunga 480 chilometri e profonda circa 30 - estesa dall'Eufrate alla frontiera irachena - comporti almeno due conseguenze per l'Europa e il nostro Paese. La prima è una nuova ondata di migranti forse ancor più consistente di quella affrontata nel 2015 da Grecia, Paesi balcanici e, infine, Germania in testa, da tutta l'Unione europea. La seconda è la rinascita dell'Isis se l'invasione turca favorirà il ritorno in libertà di 10mila militanti dello Stato islamico detenuti dai curdi e di 70mila fra mogli e figli di quei militanti reclusi nei campi del Nord Est siriano.
Il timore più immediato riguarda però la deflagrazione della nuova «bomba-migranti» innescata da Ankara aprendo le frontiere con la Grecia, garantendo mano libera ai trafficanti di uomini e spingendo verso l'Europa milioni di disperati. Una bomba innescata già lo scorso 5 settembre quando Erdogan pronuncia un discorso, diffuso dall'agenzia turca Ihlas, in cui lamenta le «condizioni disumane» in cui «sono costretti a vivere 3 milioni e 600mila migranti siriani ospitati dalla Turchia». Un discorso in cui annuncia l'intenzione di occupare il Nord della Siria per trasferirvi gran parte di quei migranti e costruirvi, con l'appoggio finanziario di Europa e Comunità internazionale, case e alloggi. Ma quel discorso serve soprattutto per mettere sul tavolo il nuovo ricatto.
«Fino a oggi non abbiamo ricevuto dal mondo, e men che mai dall'Ue, il necessario appoggio per i rifugiati che ospitiamo quindi spiega Erdogan - potremmo essere costretti ad aprire i confini». Alla minaccia, pronunciata nonostante i 6 miliardi di euro garantiti da Bruxelles nel marzo 2016 in cambio dell'impegno a sigillare i confini, fanno immediatamente seguito i fatti. E così a settembre in Grecia si contano oltre 10.500 migranti, il numero più alto mai registrato dopo l'accordo del 2016. Ma quello è solo un piccolo anticipo di quanto potrebbe succedere nelle prossime settimane se la Ue continuerà, com'è inevitabile, a condannare l'invasione dei territori curdi in Siria rifiutandosi di finanziare i progetti del Sultano.
«Dal 1963 ad oggi ripeteva ieri Erdogan puntando il dito sull'Europa - non siete mai stati di parola. Non siete onesti. Ancora aspettiamo i 3 miliardi di euro della seconda parte dell'accordo sui migranti. Non siete stati capaci di mantenere la parola fino a oggi, mentre noi abbiamo speso 40 miliardi di dollari per i rifugiati. Noi continuiamo sulla strada dell'accoglienza, ma se succede qualcosa apriamo il confine».
Di certo i primi a venir spinti verso quel confine non saranno gli oltre 3 milioni e 667mila siriani presenti in Turchia secondo i dati Iom (Organizzazione internazionale per i migranti), ma i 368mila richiedenti asilo provenienti sempre, secondo Iom, da Afghanistan, Iran e Somalia. Intanto però 60mila sfollati curdi e arabi sono già in movimento nella provincia siriana di Hassake per sfuggire alle bombe di Ankara.
Di certo quasi nessuno di questi tenterà la fuga verso la Turchia, aggiungendosi ai flussi della rotta balcanica. E però aumenterà la pressione sul fronte interno di una Siria già alle prese con oltre 6 milioni di sfollati.
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