Se ieri mattina si fossero telefonate, non avrebbero saputo concordare meglio l'abbigliamento: giacca nera e maglia bianca per Giorgia Meloni, giacca bianco-panna e camicetta scura per Elly Schlein. Bianco-nero, positivo-negativo, immagine rovesciata allo specchio: una perfetta rappresentazione visiva del dualismo tra capa del governo e capa dell'opposizione che almeno una di loro (la seconda) vuole incarnare.
Per entrambe, comunque, il question time di ieri pomeriggio, alla Camera dei deputati, è un debutto: la prima volta che Meloni risponde da premier alle interrogazioni dei parlamentari, la prima volta che Schlein si confronta direttamente con la premier, da leader del Partito democratico. Entrambe con due uomini - più anziani- a far da comprimari, ma palesemente in secondo piano: Matteo Salvini siede a fianco di Meloni sui banchi del governo, molto vicino per rientrare nell'inquadratura delle tv che trasmettono in diretta, e annuisce vigorosamente (forse per dar l'idea che quel che dice la presidente del Consiglio è concordato). Giuseppe Conte, che arriva in ritardo e un po' trafelato (forse per farsi notare di più), siede sui banchi dell'opposizione tra due giovanotte grilline con cui chiacchiera e ridacchia. Ma è palesemente seccato dal fatto che la Schlein gli abbia rubato la scena.
E entrambe hanno convocato la claque: pienone di ministri sui banchi del governo, pienone nei banchi Pd (inclusi gli ex leader Letta e Zingaretti). La segretaria dem sceglie come arma d'attacco il salario minimo legale, e la condisce con abbondante retorica sul «dramma del lavoro povero», della «precarietà» di giovani e donne «sfruttati» che si vedono «negare la possibilità di un futuro libero e dignitoso», sul governo che ha ripristinato l'uso degli odiati (a sinistra) voucher. «Approviamo subito il salario minimo e il congedo parentale paritario, noi ci siamo», conclude accorata. La premier replica apparentemente bonaria: il lavoro povero è «una priorità ineludibile», e «fa bene Schlein a far notare che siamo l'unico paese Ocse in cui i salari sono diminuiti negli ultimi anni». Poi assesta il colpo: «Chi ha governato finora (sottinteso: voi di sinistra, ndr) ha reso più poveri i lavoratori, dovremo fare il possibile per invertire la rotta». Ma dice no al salario minimo («Per ragioni pragmatiche e non ideologiche: può diventare controproducente»), meglio ridurre le tasse sul lavoro. L'ultima parola è di Schlein, che alza drammaticamente i toni, tra boati contrariati del centrodestra: «Non è più tempo di dare la colpa agli altri: ora siete voi al governo, e io all'opposizione (smorfia irritata di Conte, ndr). Le vostre politiche sociali sono fatte di incapacità, approssimazione e insensibilità». Urla e proteste dalla maggioranza («Una cosa che non si era mai vista durante il question time, contro l'opposizione», lamenta Federico Fornaro di Articolo 1, ora riassorbito nel Pd schleiniano), Meloni scuote la testa,. Applausi scroscianti dai banchi Pd, dove molti si alzano in piedi. Mentre i grillini restano immobili a braccia conserte, a testimonianza del disagio che si respira in quel partito, palesato da un goffo tweet di Conte che prima dell'intervento di Schlein annunciava: «Calendarizzata in commissione la nostra proposta sul salario minimo: la nostra perseveranza paga». Subito dopo il capo 5S si giustifica: «Non era una rivendicazione, davo una notizia». Ma intanto scatena i suoi contro il Pd, con una raffica di dichiarazioni che cercano di stabilire lo ius primae noctis grillino sul salario minimo: «Siamo stati i primi a lanciarlo, il Pd finalmente ci viene dietro», dicono in coro. E c'è da capirli: il match da primedonne tra Giorgia e Elly li sospinge ai margini, il piglio radical della neo-segretaria dem appanna l'immagine da Mélenchon alle cime di rapa che Conte aveva cercato di cucirsi addosso.
Il campo di battaglia per la primazia sono le prossime elezioni europee, e M5s rischia di afflosciarsi. Ma anche tra i moderati (Terzo Polo incluso) c'è allarme per la nuova polarizzazione: «D'ora in poi ci sarà solo il loro duello, e chi sta al centro rischia», dice Maurizio Lupi.
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