Per Kiev sono il primo passo verso la promessa riconquista della Crimea. Per Mosca rappresentano stilettate mediaticamente imbarazzanti, ma strategicamente ininfluenti. In sintesi è questo il risultato delle operazioni-beffa messe a segno nell'ultima settimana dalle forze ucraine sul territorio di quella Crimea che Kiev considera ancora sua e Mosca da per definitivamente annessa. L'operazione più recente risale a ieri mattina quando alcune esplosioni hanno distrutto un deposito di munizioni russo a poca distanza dal villaggio di Mayskoye nella parte settentrionale della penisola adiacente ai territori controllati da Mosca. L'esplosione del deposito, costata la vita di un uomo e il ferimento di 14 persone, ha portato all'evacuazione di alcune aree intorno alla cittadina di Djakoy e al blocco della ferrovia danneggiata lungo alcuni tratti dei binari. Nel frattempo altre esplosioni hanno colpito il ripetitore della televisione russa a Melitopol, un'altra città del sud ucraino occupata dai russi. Il raid di ieri è comunque poca cosa rispetto a quello conclusosi otto giorni fa con la distruzione di otto aerei da combattimento russi dentro una base dell'aviazione di Marina a nord del porto di Sebastopoli. Entrambi i blitz non sono attribuibili ai lanciamissili a lunga gittata Himars forniti da Usa e Gran Bretagna. Mentre Sebastopoli è fuori dal loro raggio d'azione la zona di confine della Crimea è difesa dai sistemi anti-missile russi. In effetti nè Kiev, nè Mosca fanno cenno all'utilizzo di missili a lunga gittata. Il ministero della Difesa russo attribuisce l'operazione ad «un atto di sabotaggio» mentre fonti militari ucraine alludono ad un'operazione messa a segno dalle proprie forze speciali appoggiate, probabilmente, da collaboratori locali. Le «forze speciali» ucraine, conosciute con il soprannome di battaglione Shaman, hanno già dimostrato di saper il fatto loro. Addestrati dai loro omologhi inglesi e americani che a suo tempo li hanno messi alla prova portandoli nelle zone più calde dell'Afghanistan gli uomini del battaglione Shaman hanno al loro attivo varie operazione aldilà dei confini russi. A favorire la realizzazione di almeno tre raid sui territori della Crimea in soli otto giorni possono aver contribuito due fattori. Il primo è la decisione del Cremlino di riaprire i valichi di confine per garantire ai civili delle zone occupate dell'Ucraina il libero transito in Crimea. Nonostante i severi controlli imposti al confine le forze speciali ucraine potrebbero aver infiltrato dei propri uomini stabilendo contatti con le cellule dormienti ucraine fondamentali per la logistica e la preparazione delle operazioni. Detto questo è evidente che i raid, seppur mediaticamente fastidiosi in quanto evidenziano una scarsa attenzione russa, sono ben lontani dal rappresentare, come sostiene il consigliere presidenziale di Kiev Mykhailo Podolyak, l'inizio della «smilitarizzazione» della Crimea. La riconquista della Penisola, promessa dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky resta, per ora, uno slogan politico e un'utopia militare. Anche perchè prima di riprendersi la Crimea gli ucraini dovrebbero lanciare la tanto promessa offensiva per la riconquista di Kherson. Ma di mezzo ci sono circa trenta chilometri di terreno scoperto che separano le posizioni ucraine di Mykolayv e le prime linee russe di Kherson.
Avanzare senza un'aviazione in grado di annientare il fuoco di sbarramento dell'artiglieria russa significherebbe mandare al massacro i propri uomini.
Il tutto senza disporre degli effettivi in gradi di garantire la presa della città. Le beffe messe a segno alle spalle dei russi possono insomma spazientire Mosca, ma difficilmente garantiranno all'Ucraina la riconquista dei propri territori.
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