Etruria, il Transatlantico si trasforma nel Titanic. Renzi: siamo nella m...

Le preoccupazioni del leader Pd sul caso Boschi. Mentre i peones cercano scialuppe di salvataggio

Etruria, il Transatlantico si trasforma nel Titanic. Renzi: siamo nella m...

Nell'androne di un negozio di abbigliamento su corso Rinascimento, a due passi dal Senato, Tonino Gentile e Piero Aiello, due senatori superstiti del gruppo di Alfano, parlano del loro futuro. Incerto. Gentile è famoso perché ha fatto la spola tra il seggio del Senato e l'incarico di sottosegretario: nominato da Renzi, è stato costretto a dimettersi, per poi essere rinominato dallo stesso Renzi e riconfermato da Gentiloni. Questo per dire che ha uno spiccato istinto di sopravvivenza. Ora, però, lo attende la prova più ardua: per molti come lui, infatti, questa legislatura che si sta chiudendo (si voterà il 4 marzo come questo giornale aveva già anticipato quasi un mese fa) somiglia al Titanic. È come un naufrago. Se non trova una scialuppa di salvataggio rischia di essere inghiottito dai gorghi della politica. E la scialuppa, per lui, dovrebbe essere il Pd. Ma non si fida. «I banditi - confida preoccupato - stanno da questa parte, come nel centrodestra. Noi calabresi ci siamo abituati, da noi c'è la 'ndrangheta. Questi, però, sono più spietati. C'è la confusione che regna in una nave che affonda. Tutti tentano di mettersi in salvo. Di qua, come di là. Si fa a cazzotti per un salvagente. Ad esempio, nella cosiddetta quarta gamba, i residui bellici di Forza Italia si fanno la guerra. Fitto ha detto a me che a lui va bene Lupi, ma non Quagliarello. E se parli con Quagliarello ti dirà il contrario». Aiello, che è la sua ombra, è ancora più titubante: «Qui - aggiunge laconico - ti puoi fidare solo di te stesso». È lo spirito che anima tutti i profughi.

In un angolo della buvette di Palazzo Madama, Antonio Milo, verdiniano, per salvarsi usa la tecnica dello «star fermo». «È la cosa migliore - osserva, regalando una pillola di saggezza partenopea, che sembra presa da una commedia di Eduardo De Filippo -, perché se ti proponi ti ammazzano, mentre se ti propongono forse ti salvi». Ne sa qualcosa Antonio Di Pietro che, in una fugace apparizione nel grande salone di Palazzo Madama, narra come che ha tentato, invano, di costruirsi una scialuppa tutta per sé: «Ho cercato di esser candidato nello stesso collegio sia da Renzi che da Grasso. Ma sia l'uno che l'altro mi hanno risposto: Va bene, ma o noi o loro. Mai vista una ferocia del genere. Neppure tra i rapinatori».

Siamo sul Titanic. E, magari, l'immagine più nitida di questa tragedia è il palcoscenico della commissione d'inchiesta sulle banche, dove si consumano vendette e rancori. Si parte fra quel mezzo complotto che portò alla crisi del governo Berlusconi nel 2011, per arrivare a Banca Etruria e alla procura di Arezzo, passando per i misteri di Mps, fino a Bankitalia e alla Consob. Ieri l'ex numero uno della Consob, Vegas, (silurato da Renzi) ha sparato sulla Boschi, dicendo che avrebbe parlato con lui del futuro di Banca Etruria e dando la stura a chi l'accusa di aver mentito in Parlamento. La sottosegretaria alla presidenza del consiglio ha risposto a tono. Contemporaneamente il «caos» ha lambito il Tesoro (da Draghi, a Monti fino a Pier Carlo Padoan), con la dottoressa Cannata, la maga del debito pubblico e dei derivati.

Appunto, gli ultimi giorni di questa legislatura stanno danno l'assaggio di cosa sarà la campagna elettorale: un lungo elenco di morti e feriti. Aveva predetto due mesi fa il segretario del Pd Matteo Renzi: «Se questi pensano di crocifiggermi sulle banche in campagna elettorale hanno sbagliato di grosso: diventerò io il grande accusatore». La settimana scorsa aveva rincarato la dose: «La situazione è scabrosa, ma il problema è di chi ha voluto riconfermare Visco come governatore». E ieri, dopo lo scontro tra Vegas e Boschi e il tiro al bersaglio sul Tesoro, ha fatto la fotografia della situazione: «Si è raggiunto l'apice del merdaio».

Sta venendo giù tutto e c'è «il si salvi chi può». Se ne vedono di tutti i colori. Nella storia dell'Italia repubblicana non si erano mai visti i vertici di Senato e Camera tuffarsi nella campagna elettorale ancor prima della fine della legislatura: ha cominciato Grasso, facendosi lusingare da Bersani e D'Alema, e ora l'inquilino di Palazzo Madama si sta portando dietro la Boldrini. Due mesi fa nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato sulla rielezione di entrambi. Poi, una mano tira l'altra, stanno riuscendo a traghettarsi in tandem dalla 17esima alla 18esima legislatura. «Grasso? Una buona mossa per la campagna elettorale - commenta il senatore Muchetti, ancora nel Pd ma con buone entrature in Liberi e uguali -: certo se Bersani pensa di usarlo per un'alleanza con i 5stelle è fuori di senno; se gli serve, invece, ad attirare qualche voto di sinistra finito a Grillo, ha un senso». Già, chi l'avrebbe detto, questi due campioni della società civile, Grasso e Boldrini, in cinque anni hanno maturato l'istinto di sopravvivenza che è mancato a due vecchie volpi della politica, come Alfano e Verdini, rimasti senza salvagente. O a qualche parlamentare grillino, che non scommette sul proprio ritorno in Parlamento. «Qui se non ci danno la deroga di presentarci in collegi diversi - si lamenta il senatore Gianluca Castaldi - qualcuno di noi non passa, visto che questa volta in Abruzzo non credo che riusciremo da eleggerne tre». Eh sì, salvarsi è difficile. Anche se c'è chi le prova tutte. «Simona Vicari - confida con una punta d'ironia Renato Schifani, ex presidente del Senato -, che era stata eletta in Forza Italia e che io conosco bene, fino all'altro giorno è stata al governo con Renzi e ora gli spara contro per avere una candidatura dal centrodestra. Invano».

Eppure ci sono gli ex democristiani che da venti anni, cioè da quando lo Scudocrociato ha chiuso i battenti, fanno la vita da profughi, ma alla fine la scampano sempre. E anche a questa volta hanno trovato il modo per salvarsi dal naufragio del Titanic. Vito Bonsignore, parlamentare europeo, democristiano di lungo corso, approdato nell'Udc di Cesa, racconta: «Ormai tutti hanno capito che l'unico vagone sicuro a cui possono attaccarsi è l'Udc di Cesa, che ha siglato un accordo con il Cavaliere davanti al capogruppo del Ppe Joseph Daul. Oggi ha bussato alla porta anche Stefano Parisi. Per sette parlamentari eletti nelle liste di Forza Italia, Cesa porterà in dote quell'1,5% che i sondaggi assegnano allo Scudocrociato. La prossima settimana daremo vita ad una fondazione gli amici dell'Udc. Starei attento, invece, a quelli di Ap, Lupi e gli altri per sopravvivere si sono divisi tra centrodestra e Pd, ma sono rimasti nello stesso gruppo parlamentare. Ma non è che dopo il voto si riuniranno?». «Metteremo insieme - gli fa eco un redivivo Rocco Buttiglione - tutti quelli che hanno partecipato alla storia della Democrazia cristiana.

Se poi gli altri vorranno partecipare - i vari Quagliarello, Costa, Tosi - saranno benvenuti». Ah, i democristiani! Sono sopravvissuti a dieci naufragi. E dopo aver fatto la storia della Prima repubblica, aver partecipato alla Seconda, si stanno ritagliando un posto anche nella Terza. Immarcescibili.

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