Eurovision di guerra e le proteste anti-Israele: Golan sola contro tutti

In 20mila fuori dall'arena di Malmö, i fischi alle prove e la cantante di Tel Aviv «boicottata» dagli altri artisti

Eurovision di guerra e le proteste anti-Israele: Golan sola contro tutti
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E dire che il motto dell'Eurovision di quest'anno è stato «Uniti dalla musica». In realtà l'edizione che si è conclusa ieri sera alla Malmö Arena è stata soprattutto una estensione in campo pop dello scontro israelo palestinese e, più che dalla musica, (tanti) cantanti si sono uniti soprattutto nel criticare, con parole chiare o allusioni, con gesti simbolici o silenzi rumorosi, la concorrente israeliana Eden Golan. Già prima dell'inizio ha dovuto cambiare parte della canzone October rain (considerata lesiva della neutralità politica dell'Eurovision) e poi l'ha proprio lasciata perdere e ha gareggiato con Hurricane. Molte guardie del corpo l'hanno accompagnata per tutta la settimana e ha evitato quasi tutti gli eventi collaterali, persino la prova costumi. Praticamente il nemico pubblico numero uno. Una situazione che, come si capisce, ben poco ha a che fare con il clima necessariamente festoso di una gara di canzoni. Tanto per capirci, il cantante «padrone di casa», ossia lo svedese Eric Saade, si è esibito con una kefiah avvolta intorno al polso, chiaramente in sostegno alla «causa palestinese». E, durante la conferenza stampa dopo la seconda semifinale, l'olandese Joost Klein si è più volte coperto il volto con la bandiera olandese perché non era, diciamo così, contento di essere seduto di fianco a lei, la cantante israeliana. Nota a margine: ieri lo stesso Klein è stato squalificato dopo la denuncia presentata nei suoi confronti «da un membro femminile del team di produzione». Secondo quanto si dice, Klein le avrebbe rivolto insulti, frasi sessiste e intimidazioni. Risultato, ciao e arrivederci, l'Olanda è scomparsa pure dalla graduatoria finale.

Come tanti hanno segnalato anche su X, fino all'anno scorso i social si sarebbero scatenati contro il presunto colpevole di maltrattamenti ai danni di una donna, invece quest'anno sono stati molto più tolleranti perché il «colpevole» da bersagliare era la cantante israeliana.

Il tipico strabismo dei social.

Insomma, il clima non è per nulla rilassato. Durante la seconda semifinale, le radio e le televisioni del gruppo belga VRT hanno interrotto la trasmissione per diffondere un messaggio di condanna contro «la violazione dei diritti umani compiuta da Israele». L'hashtag a corredo era #stopgenocide.

E ieri mattina la polizia di Malmö ha fatto sapere di attendere almeno ventimila dimostranti contro la partecipazione di Israele. Il tutto ha ovviamente fatto passare in secondo piano, almeno sui media, l'attenzione per la gara. Prima della finale i favoriti erano la Svizzera, la Croazia (menzione speciale per il nome del suo rappresentante, Baby Lasagna) e pure Israele. A proposito, la Rai ha messo una toppa alla diffusione per errore delle preferenze italiane (Eden Golan in testa con il 39,31%, solo il 7,32% per i secondi classificati Paesi Bassi). «Un inconveniente tecnico che non inficia la regolarità del risultato finale».

E proprio a prescindere dal risultato finale, Angelina Mango ha convinto perché ha fatto parlare solo la propria musica, in sala stampa ha cantato Imagine di John Lennon in nome della pace (di tutte le paci) e ha spento anche la polemica sui suoi presunti

malumori. Lei ha comunque raggiunto l'obiettivo. Chi invece l'ha mancato clamorosamente sono stati tutti coloro che, come accadeva già negli anni Settanta, hanno scambiato un palcoscenico musicale per un campo di battaglia.

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