Eurozona, addio al rigore: il debito pubblico è utile

Il capo del Mes: alzare la soglia del rapporto con il Pil. L'ok del neoministro tedesco delle Finanze

Eurozona, addio al rigore: il debito pubblico è utile

«The times they are a-changin». Già, i tempi stanno cambiando. Fino al punto di vedere aprirsi crepe perfino nel Patto di stabilità, il monolìto dell'austerità dura e pura, il foglio di via sventolato sotto il naso ai Paesi col vizietto del debito. A sdoganare il nuovo corso è quel Klaus Regling a capo del fondo salva-Stati Mes, dunque la figura della Troika più temuta durante la crisi del debito sovrano. Il lupo che scorrazzava nel pollaio Grecia, è ora un agnello. Dice: «Sì a una soglia più alta nel rapporto debito-Pil». Sottolinea: «Un'applicazione rigida del Patto costerebbe cara». Chiude col botto: «Il debito pubblico è necessario». Lapalissiano, ma fino all'altro ieri Regling non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.

Il dibattito che si è aperto il mese scorso in seno all'Eurogruppo sulla riforma del Patto, sospeso fino a gennaio 2023, vede tra le proposte l'innalzamento del tetto massimo di indebitamento dal 60 al 100% del prodotto interno lordo. Tra i Paesi che più spingono per una revisione dei parametri della finanza pubblica, resi ancor più anacronistici dal Covid-19, sono Italia, Francia e Spagna. Di recente, il premier Mario Draghi è stato esplicito: «Le regole di bilancio in vigore fino alla pandemia, già allora non erano sufficienti, erano regole procicliche che per certi aspetti aggravavano il problema invece di aiutare a risolverli. Una revisione era necessaria, oggi è inevitabile». I cosiddetti Paesi frugali, capeggiati dall'Austria, si sono però già messi di traverso. Potrebbero sopportare al limite aggiustamenti light, ma non la ricalibrazione dei tempi di assorbimento del debito eccedente che, in base alle regole attuali, prevedono un abbattimento di un ventesimo all'anno della quota che supera il 60%. Una missione impossibile, per il nostro Paese (debito-Pil oltre il 150%) e per altri.

A questo proposito, Regling ci scodella un assist: un'applicazione meccanica e rigida del Patto sarebbe «costosa», non solo da un punto di vista «economico», ma anche sul piano «politico» dato che «sta diventando sempre più chiaro che alcuni elementi del Patto non riflettono le condizioni macroeconomiche, che sono cambiate». Il ragionamento del numero uno del Mes poggia su due binari. Primo: il calo dei tassi ha reso i debiti più sostenibili. Secondo: «Per il buon funzionamento dei mercati dei capitali, un certo livello di debito sovrano è necessario». Anche per canalizzare i risparmi di chi non vuole assumersi rischi: «Se non ci sono abbastanza safe asset sul mercato, perché gli Stati vogliono tagliare il debito, allora la domanda di safe asset può facilmente superare l'offerta. E questo - ammonisce - significherebbe che i tassi dovrebbero calare ulteriormente».

Insomma: tira un'aria diversa, corroborata dall'aria balsamica che arriva dalla Germania. Sulla coalizione di governo composta da Spd, Verdi e Fpd pendeva un grosso punto interrogativo legato alla nomina a ministro delle Finanze del leader dei liberali, Christian Lindner. L'uomo che aveva impostato la campagna elettorale anche sul pieno ripristino delle regole di finanza pubblica, si è reso adesso, secondo Repubblica, più conciliante. L'impegno assunto dalla «coalizione semaforo» guidata dal socialdemocratico Olaf Scholz si sostanzia infatti nel mettere le mani, in chiave meno rigorista, sulle «sacre tavole» del Trattato di Maastricht. Tutto messo nero su bianco in un documento, dove si sottolinea come il Patto debba «garantire la crescita, la sostenibilità del debito e investimenti sostenibili ed ecologici».

Berlino si allinea quindi a Roma, Parigi, Madrid e Bruxelles nell'appoggiare una golden rule che permetterebbe di defalcare dalla voce «debito» gli investimenti green e quelli destinati al digitale. E Lindner fa calare la pietra tombale sui frugali: «La Germania non può comportarsi come loro». Non è più tempo per lupi.

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