Boom. Anche Mara Carfagna fa scoppiare il M5s. Un parlamentare di primo piano fa il punto della situazione con Il Giornale. «Allora al Senato c'è un vero e proprio ammutinamento e in dieci voteranno contro Draghi sicuramente, alla Camera però c'è l'enorme problema del ministero del Sud». Il pallottoliere del dissenso oscilla pericolosamente tra 40 e 50 tra Palazzo Madama e Montecitorio, contando anche chi deciderà di non presentarsi. Da Casaleggio con un post su Facebookl'appello: «Auspico che chi senta il disagio nel sostenere questo Governo percorra la scelta della astensione».
Nelle ultime ore la crepa più profonda è stata creata dal caso-Carfagna. Il fatto che sia stato assegnato il dicastero del Mezzogiorno a una esponente di Forza Italia ha mandato in tilt la nutrita pattuglia parlamentare meridionale dei Cinque stelle. Pugliesi, calabresi, campani, soprattutto siciliani, sono su tutte le furie. Vengono tutti da Regioni dove i pentastellati hanno fatto il pieno di voti nel 2018, sfiorando in alcuni casi il 50% dei consensi. La chat di Montecitorio è infuocata come non mai. «Dai territori del Sud stanno minacciando i nostri», ci dice un deputato. Giovanni Di Caro, capogruppo M5s all'Assemblea regionale siciliana, invita i «colleghi a Roma» a non votare la fiducia. Nella nota dei grillini all'Ars si parla dell'assenza di siciliani nei ministeri e di un esecutivo sbilanciato verso il Nord, ma il vero nodo gordiano è il ministero del Sud agli azzurri. Il viceministro uscente Giancarlo Cancelleri, leader del Movimento nell'Isola, sta cercando di portare avanti una mediazione con territori e parlamentari. Ma la rivolta del Mezzogiorno può essere placata solo grazie al risiko dei sottosegretari. Proprio Cancelleri è in lizza per bissare il ruolo di viceministro, magari di nuovo alle Infrastrutture. È su questo che ruota la trattativa per spegnere la sedizione. O almeno parte della sedizione.
Perché una ventina di parlamentari sono ormai dati per persi. In gran parte hanno idee «sovraniste» e antieuropeiste, ma tra i critici ci sono anche esponenti considerati più «progressisti». Non si escludono smottamenti nemmeno tra i contiani. Sono vivi i sospetti, da parte dei più vicini a Luigi Di Maio, di un Giuseppe Conte desideroso di armare la mano degli scontenti per mettere in difficoltà il governo. Ed è sempre più fondato il timore dei vertici che al Senato i ribelli possano formare un gruppo autonomo. Servono almeno dieci senatori e i numeri ci sono. Mattia Crucioli, uno dei capi della fronda al Senato, se la prende con «i dragrillini». «La nuova specie mutante che si crede furba, ma è incredibilmente stupida», va all'attacco. La senatrice Barbara Lezzi in un'intervista al Fatto Quotidiano spiega che il governo Draghi per il M5s «è un suicidio». Poi rilancia sul voto su Rousseau: «Il super-ministero non c'è, la votazione va ripetuta». Il reggente Vito Crimi è in balia dei parlamentari. L'assemblea congiunta di sabato sera è stata ad alta tensione. Manlio Di Stefano, sottosegretario uscente alla Farnesina, vicino a Di Maio, ha sbottato: «Con la Lega i nostri voti non contano più un c...». C'è chi ha attaccato Beppe Grillo, come il deputato Cristian Romaniello: «Beppe può anche sbagliare e in questo caso ha sbagliato». Grillo risponde pubblicando sui social un Draghi «warholiano». Con la scritta: «Now the environment. Whatever it takes».
Ora l'ambiente, con la citazione del «costi quel che costi» di Draghi ai tempi della Bce. Sabato Crimi ha provato a parare i colpi: «È il governo di Draghi e del Quirinale, non c'è stata trattativa sui ministri». Ora si spera nella trattativa sui sottosegretari per sfrondare la fronda.
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