Fari sulla E45 della vergogna. Viadotto sequestrato dai pm

Chiuso il ponte del Puleto un anno dopo il cedimento di una piazzola di sosta. Ma tutta l'opera è a rischio crolli

Fari sulla E45 della vergogna. Viadotto sequestrato dai pm

La chiamano superstrada, ma di super esistono soltanto le buche, le mancate manutenzioni e i rischi per chi viaggia. È la E45 Orte-Ravenna, alternativa gratuita all'autostrada del Sole e alla Bologna-Taranto per spostarsi tra il Nord e il Centro Italia. Da ieri è super anche il sequestro, ordinato dalla procura di Arezzo, di un intero viadotto al confine con l'Emilia Romagna, nel Comune toscano di Pieve Santo Stefano. La chiusura del viadotto Puleto è avvenuta quasi un anno dopo il cedimento di una piazzola di sosta che risale all'11 febbraio 2018. Ci sono voluti quasi 12 mesi di rilievi, analisi, verifiche su un tratto di strada che da anni cade a pezzi per accertare il «rischio di collassamento» e le condizioni di «criticità estrema» del viadotto.

Su Facebook c'è un gruppo molto nutrito, chiamato «Vergogna E45», dove quasi quotidianamente vengono pubblicate foto di buche, cedimenti, rattoppi fatti male, salti di corsia per lavori, travi di cemento armato erosi dall'incuria, perfino cinghiali rimasti incastrati tra le barriere divisorie in cemento, e assieme alle foto gli insulti degli automobilisti. Gli incidenti sono all'ordine del giorno così come i rallentamenti, i restringimenti e le chiusure. L'Anas nel 2016 aveva annunciato un piano di investimenti da 1,58 miliardi di euro: gli interventi sono partiti dall'Umbria, dove la strada corre sui saliscendi collinari della Valtiberina e non conosce gli alti viadotti pericolanti che s'incontrano invece nel tratto appenninico. Quello per cui da tempo si chiedono interventi urgentissimi.

Per lunghi tratti dei suoi oltre 250 chilometri, questa «strada europea di grande comunicazione» ha carreggiate più strette del normale, asfalto a rappezzi che si dilata nuovamente con il ghiaccio e con le piogge, corsie d'emergenza inesistenti, cigli cedevoli. Le piazzole di sosta sono una sfida di sopravvivenza e a misura di utilitaria: un camion rimorchio non ci sta, chissà perché. Un bisonte della strada che dovesse guastarsi è costretto a sostare in mezzo alla corsia di marcia.

Le gallerie appenniniche sono semibuie. Non esistono telecamere di sorveglianza, chieste da anni da tutti i sindaci dei Comuni interessati. Su una normale superstrada si dovrebbe viaggiare a 110 orari: qui il limite costante è di 90, ma in realtà tra buche e giunzioni fatte male si viaggia ancora più piano.

Dimenticanze e trascuratezze sono le padrone di questa superstrada, voluta da Benigno Zaccagnini negli anni '50 e chiusa nel 1996 da Pier Luigi Bersani, che da ministro dell'Industria ne inaugurò l'ultimo tratto. Quasi cinquant'anni, un'eterna incompiuta che ha continuamente bisogno di interventi, mai risolutivi. Ieri per chiudere la strada e predisporre la viabilità alternativa sono intervenuti un centinaio di operai dell'Anas assieme alle forze dell'ordine: uno spiegamento mai visto per rifare l'asfalto o consolidare i viadotti.

Ora al disagio della chiusura tra Verghereto e Valsavignone si aggiunge quello provocato dall'incuria tipicamente italiana. In quella zona, infatti, non esistono strade alternative. La parallela strada provinciale è abbandonata da anni ed è inagibile. I sindaci della Valle del Savio, da Cesena a Bagno di Romagna, ieri hanno scritto al premier Conte e al ministro Toninelli (ai quali hanno chiesto un incontro urgente) per denunciare «l'interruzione della viabilità tra Emilia Romagna e Toscana» con «gravissimi danni di natura economica e sociale».

Auto e camion dovranno arrampicarsi per le stradine secondarie dell'Appennino toscoromagnolo e intasare i paesini, mentre i pendolari, a cominciare dagli studenti delle scuole superiori, dovranno puntare la sveglia un'ora prima. L'indicazione dell'Anas? Molto semplice: prendete l'autostrada.

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