L'ansia di voler spegnere al più presto l'incendio dell'inflazione rischia di creare i presupposti per una crisi ancor più profonda. Le grandi banche centrali con in testa la Federal Reserve e poi, a traino, la Banca centrale europea si sono ormai completamente messe nelle mani ai falchi dei rispettivi consigli, con una sfilza di maxi rialzi dei tassi d'interesse. E, per quanto riguarda la Bce, con buona pace dei buoni propositi iniziali di un «restringimento graduale» della politica monetaria. Dopodomani, mercoledì, la Fed deciderà molto probabilmente il quarto rialzo consecutivo dei tassi di interesse da tre quarti di punto, portandoli nella forchetta 3,75%-4%. Una scelta resa ancor più probabile da un livello dei prezzi che si mantiene ai massimi da 40 anni (all'8,2%). Ma i tassi che salgono aumentano il rischio di portare l'economia in recessione. Questo il capo della Fed, Jerome Powell, ovviamente lo sa, ma ritiene prioritario spegnere l'inflazione, costi quel che costi, dopo averla erroneamente ritenuta un fenomeno transitorio solo un anno prima. Tra gli analisti, c'è chi è preoccupato da un'ascesa dei tassi troppo aggressiva: infatti, i rialzi dei tassi solitamente ci mettono tra i 12 e i 18 mesi per riversare a pieno i loro effetti. E se l'economia Usa, che è rimbalzata nel terzo trimestre al +2,6% dopo due trimestri negativi, nel 2022 ha perso smalto, di quanto potrebbe frenare con gli aumenti dei tassi già fatti? Nelle sale operative c'è una corrente di pensiero crescente che ritiene sia meglio un restringimento monetario più graduale, per evitare di innescare una recessione più lunga e profonda, andando a distruggere la domanda quando da un anno e mezzo il problema è principalmente nell'offerta scarsa di prodotti.
La Bce di Christine Lagarde non sta facendo diversamente, nella riunione del 27 ottobre ha varato un nuovo aumento dei tassi di tre quarti di punto. E ora, il 15 dicembre, con i dati dell'inflazione alle stelle (l'11,9% in Italia a ottobre) quasi certamente proseguirà nella decisione di aumentare i tassi in una forchetta tra il mezzo e i tre quarti di punto. Lagarde è determinata, solo un paio di giorni di fa ha dichiarato che «il nostro mandato è sconfiggere l'inflazione ed è per questo che dobbiamo alzare i tassi». Il problema è che in Europa, a differenza degli Stati Uniti, la crescita dei prezzi è dovuta in larga prevalenza dai costi dell'energia e non da un'economia che corre troppo velocemente. L'economia dell'Eurozona, e dell'Italia già ora sta rallentando di molto e balla sul filo della recessione nel 2023, secondo le stime dell'Fmi.
E quando i rialzi dei tassi in serie dispiegheranno i loro effetti, rallenterà ancora di più senza risolvere il problema della carenza di gas, che è la ragione delle bollette alle stelle. Non vale la pena, allora, seguire un percorso più graduale? Spegnere l'inflazione è giusto e sacrosanto, ma senza le industrie si rischia di desertificare l'Occidente.
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