Ci mancava solo il «vademecum acchiappa-alpini». Con tanto di identikit («com'era la divisa?», «indossava il cappello?», «era ubriaco?»). A idearlo e lanciarlo sul mercato social è l'agitatissima associazione femminista «Non una di meno» (Nudm): sodalizio di «donne guerriere» fino alla settimana scorsa noto come il professor Orsini prima della guerra in Ucraina. Ora, invece, la sigla Nudm gode di una visibilità abbacinante; tutto merito dell'adunata nazionale degli alpini che tra mille polemiche (ma poche denunce in questura) su presunte molestie sessuali, si è conclusa quattro giorni fa a Rimini. Comunica la sezione riminese di Nudm: «Stiamo raccogliendo tutte le segnalazioni, i video e le foto di questi giorni per valutare la procedura legale più opportuna da adottare collettivamente. Chiediamo a tutt* (notare la finezza linguistica dell'asterisco sexually-correct ndr) di aiutarci con la raccolta di questi materiali» inviandoli all'indirizzo di posta elettronica dell'associazione». Inoltre «la memoria» dovrebbe contenere i «dati anagrafici di eventuali testimoni (anche se non li conosci): persone presenti che stavano registrando o facendo foto; persone con cui eri; persone intervenute; persone con cui hai parlato dopo i fatti; eventuali foto, video, messaggi o chiamate di Wa, storie di Ig, post di Fb che hai fatto che ti aiutano a ricordare e che possono essere visualizzati ed eventualmente utilizzati come prove». Roba che, in confronto, i dossier dell'ex Kgb sembrano documenti da Manuale delle Giovani Marmotte. Peccato che nella mobilitazione delle femministe «Non una di meno» manchi «una» cosa importante: la coerenza. La suddetta associazione è infatti la stessa che, in occasione delle violentissime aggressioni sessuali avvenute a Capodanno in Piazza Duomo a Milano contro numerose ragazze da parte di orde di giovani nordafricani, si mostrò non altrettanto solerte nel denunciare gli abusi; arrivando addirittura a mettere in guardia dal pericolo che «facili generalizzazioni» potessero animare «sentimenti di razzismo verso gli extracomunitari». Un appello alla prudenza che nel caso degli alpini di Rimini è totalmente mancato. Lasciando l'amarissima sensazione che anche su un tema così delicato come le molestie alcuni quantifichino lo sdegno in base alla propria convenienza politica e/o ideologica: un atteggiamento di parte piuttosto vergognoso.
A quattro giorni dall'esplosione del «caso alpini» sono giunte finalmente le «scuse» da parte del vertice dell'Ana che, in un'intervista al Corriere della Sera del presidente Sebastiano Favero, ha ricondotto la vicenda nei giusti binari di civiltà; se magari - anche alla luce di vari precedenti - Favero lo avesse fatto giocando di anticipo, avrebbe evitato qualche speculazione strumentale di troppo. Invece si è scatenata l'operazione «fango sugli alpini», glissando su una cronologia di eventi che merita invece di essere approfondita.
Uno «storico» alpino come l'ex senatore Carlo Giovanardi, interpellato dal magazine Mow, ha rivelato un curioso retroscena: «Venerdì 6 maggio sulla pagina Instagram del collettivo "Non una di meno", è apparso un post che invitava a inviare testimonianze di molestie subite ad opera dei 400mila alpini arrivati in città. Ma da sempre il grosso arriva nel weekend. Quindi prima ancora che l'evento entrasse nel vivo, già le femministe scrivevano che gli alpini erano ubriaconi e molestatori».Ottimo materiale per i complottisti.
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