Doveva essere la festa di tutte le donne invece i movimenti transfemministi hanno cercato di trasformare l'8 marzo in una giornata di parte in cui ricordare solo alcune donne e dimenticarne altre per finalità ideologiche.
Ieri a Roma e Milano il movimento «Non una di meno» ha promosso due cortei e uno sciopero generale «contro la violenza patriarcale» e si sono trasformati in una mobilitazione pro Palestina, anzi contro Israele, tra schwa, asterischi e gender. Lo stesso sciopero, a dire il vero, ha messo in difficoltà tante donne, con il lavoro e la gestione dei bambini.
In piazza poi, quella che doveva essere una manifestazione in difesa delle donne, è diventata l'occasione in cui protestare «per un immediato cessate il fuoco e contro il genocidio in atto in Palestina» e «contro il governo Meloni, contro l'onda di autoritarismo che restringe il diritto di manifestare».
In realtà il diritto di manifestare è stato garantito ma non sono mancati gli atti vandalici in particolare a Milano dove sono stati imbrattati i cartelloni di Emporio Armani, le vetrine di Zara, vandalizzato un Mc Donald's ed è stato acceso un fumogeno rosa fuori il negozio di Starbucks in piazza Cordusio «Boycott Starbucks, finanzia Israele hanno le mani sporche di sangue».
Proprio su Israele sono emerse tutte le contraddizioni delle «transfemministe» che, tra cartelloni che inneggiano all'Intifada e negano l'esistenza dello Stato di Israele, non hanno speso una parola per ricordare le donne israeliane uccise, stuprate e ostaggio di Hamas. Non si tratta purtroppo di una novità ma che ciò avvenga anche il giorno della festa della donna è sconcertante. Non a caso il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni ha affermato che il corteo di «Non una di meno» per l'8 marzo «non è assolutamente aperto a tutte. Non lo era il 25 novembre e non lo è adesso».
Per fortuna mercoledì è stata promossa a Roma una manifestazione organizzata dall'Associazione Sette Ottobre di Stefano Parisi «per non dimenticare l'atroce violenza contro donne ebree e israeliane commessa dai terroristi di Hamas». Proprio in questa occasione è comparso un cartello con scritto «Non una di meno, #Metoo, UN Women dove siete?» Domanda più che legittima anche perché il silenzio riguarda pure le donne iraniane vittime del regime di Teheran ma dimenticate dalle femministe italiane e occidentali.
Le contraddizioni non finiscono qui perché ieri, alla Sapienza, al giornalista David Parenzo è stato impedito di intervenire in un convegno in occasione della giornata della donna. I collettivi hanno fatto irruzione accusandolo di essere un «fascista» e affermando che «un sionista non può parlare» poiché «lei è un razzista che utilizza la questione femminile strumentalizzandola per difendere e giustificare il genocidio in atto in Palestina».
Si tratterebbe di puro delirio se non fosse che la questione è molto seria e riguarda non solo la libertà di parola ma anche il rispetto di alcune regole basilari di convivenza democratica. Basta leggere il manifesto di Non una di meno dove, tra boicottaggi e censure, a farne le spese è proprio la libertà che dovrebbe essere alla base del rispetto delle donne.
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