Sei anni e mezzo di reclusione per lei, un anno e otto mesi per il marito. La Procura di Prato ha accolto quasi integralmente le richieste dell'accusa, condannando ieri l'infermiera pratese di 32 anni che aveva intrattenuto una relazione con un ragazzino (oggi sedicenne) a cui dava ripetizioni d'inglese e da cui nell'agosto 2018 aveva avuto un figlio.
La donna era accusata di violenza sessuale su minore, mentre alla sbarra era finito anche il marito, reo di aver riconosciuto il bambino pur sapendo che non era suo. I pm Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli avevano chiesto per l'insegnante una condanna a sette anni senza le attenuanti generiche, e due anni per il consorte, al quale avevano invece avevano riconosciuto le attenuanti considerandolo una «seconda vittima» della moglie dopo il ragazzino. Nel corso dell'arringa i difensori Mattia Alfano e Massimo Nistri hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge considerandola «non più attuale» rispetto alle continue sollecitazioni, specie su internet, di cui i giovani di oggi sarebbero soggetti. «Tutto ciò che voglio adesso è tornare a casa dai miei figli» ha commentato l'operatrice socio sanitaria, i cui avvocati hanno annunciato ricorso in appello. In aula, insieme ai due imputati, era presente la madre del sedicenne, che si è costituita parte civile insieme al marito: «Questa sentenza ha sottolineato la madre - è il primo passo, non c'è risarcimento per quello che ha subito mio figlio, quella donna non si è vergognata di nulla e gli ha rovinato la vita abusandone mentre a casa sua aveva un bambino di poco più piccolo». E sul nipotino nato dalla relazione col figlio, ha aggiunto: «Non l'ho mai visto, devo fare un passo alla volta». Era stata proprio la mamma del ragazzo ad accorgersi dello strano rapporto tra il figlio neanche quattordicenne, all'epoca dei fatti - e quella donna molto più grande di lui. Nel marzo scorso la madre aveva sporto denuncia, e da quel momento sono partite indagini delicate e complesse. La procura dispose il test del Dna sul piccolo che ha stabilito la paternità del bambino. La donna venne messa ai domiciliari, dove è rimasta per quasi un anno.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini, la relazione sarebbe iniziata nel giugno 2017 quando l'operatrice socio sanitaria dava ripetizioni d'inglese al ragazzo per prepararlo all'esame di terza media. Accusa e difesa si sono date battaglia su quando sarebbe avvenuto il primo rapporto sessuale: per l'accusa nel giugno di quell'anno, quando il ragazzino aveva 13 anni, mentre l'imputata ha sempre sostenuto che il rapporto era cominciato a novembre, dopo il compimento del quattordicesimo anno d'età, tesi che avrebbe alleggerito la sua posizione.
È stato proprio il futuro padre del bambino ad ammettere che il primo rapporto era avvenuto a giugno. Anche dopo la fine della relazione, durata un anno e mezzo, la donna ha tentato di tenere vicino il ragazzo minacciando di raccontare a tutti che il figlio era suo.
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