Il finanziamento pubblico crea il grillismo. L'unica strada è metabolizzare quello privato

Mani Pulite non ha insegnato nulla: tornare indietro è un errore. Basta regolamentare la lecita attività di lobbying

Il finanziamento pubblico crea il grillismo. L'unica strada è metabolizzare quello privato
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Sbagliando non s'impara. Prendiamo due esempi bipartisan: ossia i parlamentari Chiara Gribaudo (Pd) e Vincenzo Sofo (Fdi) che nel 1992, quando il finanziamento pubblico dei partiti fece saltare una Repubblica, erano bambini o ragazzini: quindi, ora, sono scusati, perché non sanno dove hanno messo le mani. La Gribaudo, il mese scorso, propose infatti di «tornare al finanziamento pubblico», e il secondo, Sofo, ieri si è detto genericamente d'accordo. Lei faceva una chiara allusione ai pasticci in Puglia e in Piemonte che avevano messo in crisi il «campo largo», lui, di fatto, ha parlato dopo l'arresto del presidente del Liguria dovuto a dei finanziamenti privati (e dichiarati) che un magistrato ha tradotto come corruzione.

A nessuno è ancora venuto in mente che l'unica legge da fare (anziché rifare) possa riguardare una più chiara normativa per spiegare che «lobbying» non è una parolaccia, che in molte nazioni esistono normalmente dei gruppi di pressione che cercano legalmente di influenzare strategie e decisioni politiche (finanziando i partiti e i candidati) e che la differenza tra questo e una corruzione, o un traffico di influenze illecite, altrove è chiaro a tutti: magistrati compresi. I finanziamenti privati: sono questi che andrebbero metabolizzati, non quelli pubblici che andrebbero ripristinati, offrendo così il fianco alle demagogie antipolitiche del peggior grillismo o del qualunquismo da social, o alle peggiori frustrazioni e invidie sociali per via di quei politici che vivono eternamente coi «soldi nostri».

Quindi bisogna studiare. Prima del 1992 c'era la Legge Piccoli (1974) che introdusse il finanziamento pubblico e intendeva «rassicurare» (impossibile) l'opinione pubblica, convincendola che i partiti e non avrebbero avuto bisogno d'altro. Fu un disastro e un'ipocrisia, dagli scandali Lockheed a Sindona a Mani pulite, sino a «una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado», dirà Bettino Craxi nel suo vano discorso in Parlamento. I finanziamenti furono aboliti nel 1993, e poi, dal 1997 al 1999, riecco le «Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali» (in vigore dal 2001) con una contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille ai partiti (sempre minima, inesistente) più un'altra legge (2006) che stabilì erogazioni o meglio un sacco di «rimborsi» per tutti. Il Popolo delle libertà giunse a incassare 206 milioni di euro, il Partito democratico 180 milioni. In un anno solo. C'erano anche i soldi per i giornali politici: 6 milioni per L'Unità, 4 milioni per La Padania, 3 per Liberazione e 1 per Campanile Nuovo (Udeur). Il grillismo e la peggior antipolitica esplosero allora, sarà un caso.

Dopo una legge del governo Monti ovviamente «europea», la questione del finanziamento fu burocratizzata ma finì per assomigliare alla legge Piccoli del 1974, solo un po' più ricca. L'antipolitica si fece sempre chiassosa, e il risultato (demagogico di conseguenza) fu il decreto legge del governo Letta (2013) che abolì espressamente il finanziamento pubblico. Tutto da capo. Si mantenne un due per mille per i partiti (con altri esiti inesistenti) ma ecco, si permise di ottenere erogazioni dei privati che potevano così fruire di detrazioni fiscali. Ma i limiti tra erogazioni lecite e illecite, evidentemente, per essere definiti, in Italia hanno bisogno di magistrati e di processi penali.

Per dirla male: soprattutto a livello locale, prima di Mani pulite, c'erano dei politici che si finanziavano illegalmente e che erano, talvolta, dei ladri; dopo Mani pulite circolano

invece personaggi che non è chiaro se siano dei politici, ma che sicuramente sono dei ladri. Il risultato è che una persona viceversa onesta, che voglia (debba) finanziare la propria politica, da noi, non sa che cosa fare.

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