Otto parlamentari e attivisti del Movimento 5 Stelle sono indagati con l'accusa di violazione del testo unico 570 del 1960. Lo scandalo delle firme false a sostegno della lista presentata nel 2012 alle elezioni comunali di Palermo fa esplodere l'allarme legalità nel partito di Beppe Grillo. Anche perché resta irrisolto il giallo sul fatto che il comico genovese fosse stato o meno informato del pasticcio. "Pensate che chi gridava 'onestà onestà' - ha commentato Matteo Renzi - ora ha solo cambiato una consonante e dice 'omertà omertà' e si ritrova a difendere le loro firme false".
A partire dalla prossima settimana parlamentari e attivisti saranno interrogati dal pool coordinato dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dal pm Claudia Ferrari, che si avvalgono delle indagini svolte dalla Digos. È stato l'incrocio delle dichiarazioni dei tre testimoni poi divenuti indagati - la deputata regionale Claudia La Rocca, che ha ampiamente collaborato, e due attivisti, che hanno fatto una serie di ammissioni - con quelle del superteste Vincenzo Pintagro e con il disconoscimento delle firme da parte di coloro che avevano appoggiato la lista, a indurre la procura a sentire le versioni di coloro che materialmente avrebbero coordinato le operazioni di ricopiatura, la notte del 3 aprile 2012, dopo che gli attivisti grillini si erano resi conto dell'errore materiale su un luogo di nascita di un candidato.
Nel timore che tutto si perdesse e che la lista fosse respinta dal tribunale, competente a vagliare la regolarità formale degli atti, fu decisa la sostanziale falsificazione delle firme, cosa ammessa da numerosi dei presenti. Chi indaga, visto che la lista non ottenne nemmeno un consigliere comunale, ipotizza però che una serie di persone si sarebbero giovate comunque dei falsi, perchè la candidatura alle elezioni comunali, secondo le regole dettate da Grillo, consentiva di candidarsi successivamente alle elezioni regionali e politiche, in cui il sistema elettorale ha consentito a una serie di militanti di diventare deputati e senatori. La La Rocca, che oggi si è autosospesa, ha chiamato in causa chi avrebbe copiato insieme a lei: fra gli altri, Claudia Mannino, Samantha Busalacchi, Loredana Lupo e ha detto che il candidato sindaco di Palermo, Riccardo Nuti, sapeva. Dalla sua e dalle altre audizioni sono venuti fuori pure, come presenti o più o meno partecipi e consapevoli, fra gli altri, i nomi di Giulia Di Vita e Chiara Di Benedetto. Tutti, a parte la Busalacchi, sono stati eletti nel parlamento nazionale. La consapevolezza e l'"uso" degli atti falsificati possono giustificare la contestazione del reato.
Proprio riguardo alla consapevolezza, è giallo sul fatto che Grillo fosse stato o meno informato delle intenzioni della La Rocca di parlare con gli inquirenti. Secondo indiscrezioni, la parlamentare dell'Assemblea regionale siciliana avrebbe telefonato al leader prima di andare dai pm. Il fondatore dei Cinque Stelle ha negato però la circostanza. Tra i candidati al Comune di Palermo e che poi, proprio grazie a questa candidatura, fu inserita come gli altri nella lista presentata nel 2013 alla Camera, c'era anche Azzurra Cancelleri, sorella del candidato presidente della Regione (nel 2012 e oggi) grillino, Giancarlo Cancelleri. La donna fu poi eletta alla Camera, nel 2013.
Al leader siciliano del M5S, vicino a Luigi Di Maio, mercoledì sentito come testimone in Procura, è stato chiesto se la sorella fosse a Palermo, nei convulsi giorni della presentazione della lista e della ricopiatura delle firme. E lui ha risposto di no: "Noi viviamo a Caltanissetta".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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